Documento politico per la chiusura dei centri di espulsione nel Molise e in tutta Italia

 

 

 

I tempi della politica sono imprevedibili. Non ci è dato, infatti, poter stabilire i tempi in cui gli effetti, seguendo le cause, si manifesteranno. Possiamo tuttavia scorgere nello svolgimento storico degli eventi quelle che sono le tendenze fondamentali. Ecco perché possiamo parlare, a ragione, di manifestazioni “ricorrenti”. Se così non fosse, ci troveremmo senza la famosa bussola che ci permette di orientarci coscientemente piuttosto che brancolare in balia di fenomeni slegati fra loro.

Il fenomeno migratorio, ad esempio, è da sempre tra i più complessi da analizzare: se le cause possono essere fissate con una buona approssimazione, le forme con cui si manifesta sono molteplici ed estremamente mutevoli a seconda delle condizioni storiche oggettive in cui si attua. Il capitalismo, storicamente, ha consentito uno sviluppo senza precedenti delle forze produttive ma allo stesso tempo ha comportato una crescita altamente diseguale nelle diverse aree del mondo. Da qui lo spostamento di ingenti masse di affamati che corrono da una parte all’altra del globo laddove il bisogno di espansione produttiva reca con sé il ricorso alla manodopera extra.  Una cosa però è certa: la stabilità di un sistema, inscritto nel modo di produzione capitalistico, dipende dal controllo e dalla pianificazione dei flussi. Infatti la manodopera extra non viene richiesta solamente nelle aree in forte espansione ma, in una certa misura, anche nelle aree in recessione economica per abbassare i costi di produzione e contrastare la caduta del saggio di profitto. Il cosiddetto esercito di riserva.

Dicevamo del controllo. Prendiamo ad esempio il caso dell’Europa. Da sempre gli stati dell’Unione europea hanno gestito il problema immigrazione in piena sintonia con i paesi da cui i migranti partivano; hanno avuto, cioè, sempre il pieno controllo dei flussi riuscendo a legarli agli interessi derivanti dalla congiuntura economica e dai cicli produttivi.

Il conflitto libico, tuttavia, ha creato una situazione inedita. La Libia aveva svolto, soprattutto negli ultimi anni, il ruolo di stato cuscinetto rispetto alla pressione esercitata dalle masse disperate del centro-africa; in parte, assorbendone una quantità funzionale ai propri interessi (quasi metà dei lavoratori sono immigrati, costretti a lavorare con salari molto bassi, a tutto vantaggio del profitto e della rendita) e nell’altra parte, incarcerando e schiavizzando i migranti “eccedenti”. L’italia ha finanziato il rafforzamento della struttura repressiva libica incoraggiando di fatto il traffico umano. I migranti che arrivavano dall’africa centro orientale venivano arrestati in libia e rivenduti ai trafficanti dalla stessa polizia libica (ne parla il documentario “come un uomo sulla terra” di andrea segre) per poi essere riarrestati e di nuovo venduti, senza che la comunità internazionale intervenisse, in maniera del tutto complice e consapevole della situazione.

Questa storia naturalmente non viene raccontata quando si parla degli accordi Italia-Libia, anche perché un trattato di amicizia in questi termini non è certo qualificante per l’immagine di paese democratico…

L’esplosione della guerra ha evidentemente rovinato i piani della politica estera italiana in tema di immigrazione, o meglio, ne ha scombussolato i tempi, determinando una reazione scomposta e violenta oltre le previsioni. Il governo italiano ha fatto ricorso al piano di emergenza, già sperimentato con estremo cinismo in occasione del terremoto aquilano. Chiariamo: numericamente il fenomeno in questione non rappresenta affatto un’emergenza, si tratta stavolta di circa ventimila migranti, nulla di paragonabile all’ondata di persone in fuga dalla guerra in Kossovo che superava le centomila unità. Ad aggravare la situazione è stato, in questo caso, il deficit di previsione.

Come si attua il “piano di emergenza” italiano? Eloquente, in questo senso, è il ruolo assunto dalla Protezione Civile, scampata per poco alla trasformazione in S.p.a., ma comunque oramai gestita in maniera affaristica e che oltrettutto, come ben rileva Roberto Evangelista nel suo articolo ( https://tratturi.noblogs.org/2011/04/09/clandestino-de-prisa-de-prisa-la-tendopoli-a-campochiaro-le-stragi-delloccidente/#more-669), ha assunto le sembianze di un vero e proprio corpo para-militare.

Le tendopoli, organizzate appunto dalla Protezione Civile, sono a tutti gli effetti campi di detenzione, circondati da kilometri di reti,  da cui non si può uscire e nei quali addirittura viene negato l’accesso a parlamentari e giornalisti (v.di i casi di Manduria e Lampedusa).

L’unica associazione “civica” coinvolta nella gestione dei campi è la “connecting people” il cui operato presenta diverse macchie, dalla gestione dell’approviggionamento alimentare (a Campochiaro il cibo arriva da Foggia) alla semplice gestione delle esigenze elementari, spesso trascurate.

Oltre il fumo negli occhi gettato dai mass media nazionali, appare il contenuto della politica messa in atto dal governo italiano. Scomparso il poliziotto libico, si investono tutte le energie, nel tentativo di contenere in maniera repressiva il flusso dei migranti in centri dove avviene l’identificazione e – in un secondo momento – l’espulsione della manodopera ritenuta in eccesso, attraverso un lavoro ideologico di criminalizzazione dei migranti trattati come pesi morti.

Ribadiamo, quindi, la nostra totale avversione nei confronti dei cosiddetti C.I.E. ritenendoli una palese violazione dei trattati internazionali. Tali centri vanno chiusi, senza “se” e senza “ma”. Siamo favorevoli, d’altro canto, all’accoglienza dei migranti nei centri abitativi in cui questi ultimi possano sviluppare le loro abilità e le loro conoscenze, magari sul modello di Riace. Chiediamo, in questo senso, la disponibilità dei sindaci di tutti i piccoli comuni e l’attivazione immediata di comitati territoriali di controllo contro il pericolo di caporalato, dei sindacati e dei centri per l’impiego per scongiurare il pericolo, più che mai concreto, dello sfruttamento. Non ce lo nascondiamo: per lo stato italiano, il loro destino deve essere il CIE e il lavoro nero, poi di nuovo il CIE e magari il rimpatrio!

Siamo, quindi, scettici rispetto al permesso di soggiorno temporaneo, semplicemente perché crediamo costituisca un palliativo pensato per ottenere un controllo più capillare sui migranti già presenti in Italia e perché riteniamo che tale provvedimento debba essere superato dal riconoscimento del diritto di cittadinanza a tutt*i/le migranti, senza distinzione.

 

Tratturi – Molise in movimento e UDS – Campobasso