La crisi dei rifiuti in Campania è solamente un’anticipazione di ciò che succederà presto anche in altre regioni, inevitabile effetto della ricerca disperata di profitto da ogni aspetto delle nostre vite; in Molise la situazione non è rosea, il territorio è disseminato di discariche, legali o abusive, e sottobanco partono gli accordi per la costruzione di inceneritori. Che cosa ci aspetta? Manifestazione il 16/10 a Montagano per dire no alla costruzione dell’inceneritore!
Terzigno, cronache dal futuro
Venerdì 1 Ottobre, sono le 8 di sera ed è già buio: siamo a Terzigno, comune dell’area vesuviana, per il corteo regionale contro l’apertura di una seconda discarica.
La storia, brevemente, ci parla di un territorio di straordinario interesse naturalistico, già devastato dalla speculazione edilizia, dove per vent’anni, in una cava, sono state sversate tonnellate di rifiuti indifferenziati senza alcun controllo sulla tossicità. Nel 1995 la discarica viene chiusa; nello stesso anno è istituito il Parco nazionale del Vesuvio, un possibile strumento per invertire la rotta delle politiche di gestione del territorio; un anno prima la regione Campania era stata commissariata proprio relativamente alla gestione dei rifiuti.
Dopo il 2008, l’annus horribilis della crisi dei rifiuti in Campania, la discarica di Terzigno, chiusa e mai bonificata, viene riaperta, con decreto del plenipotenziario commissario Bertolaso, e riprende lo sversamento dell’indifferenziato; nel 2010, giungendo questa discarica (denominata Sari) al riempimento totale, l’assessore regionale all’Ambiente decreta l’apertura di un nuovo sito per il conferimento, la cava Vitiello, adiacente alla vecchia discarica.
Arriviamo all’oggi: l’oggi è una notte buia, una strada tra orti e case lasciata volutamente al buio per intimorire, terrorizzare i manifestanti che si oppongono all’apertura del secondo sito; è un potente faro alogeno che ad un tratto acceca le donne e gli uomini in corteo, per disorientare e, magari, scattare qualche foto segnaletica.
Terzigno, non è più il Vesuvio, non sono i vigneti che producono (producevano?) l’ottimo vino; Terzigno sono donne e uomini di qualsiasi età che da mesi presidiano, tutte le notti, la rotatoria all’incrocio dal quale provengono i camion, uniti dall’esasperazione, dalla rabbia, dal rifiuto orgoglioso di cedere le loro vite alla devastazione; sono le svariate centinaia di poliziotti e carabinieri, in assetto antisommossa e mezzi blindati, ammucchiati in discesa, a difesa della loro celebrazione, prontissimi a caricare violentemente i manifestanti, sparando ad altezza uomo fumogeni e razzi traccianti; è la puzza, il fetore di morte che satura l’aria, impedisce di respirare, impregna campi, strade, persone, case del suo aroma dolciastro e nauseabondo.
A Terzigno va in scena, tutte le notti, lo spettacolo porno del capitalismo senza veli: le false mediazioni della moribonda democrazia borghese sono definitivamente crollate, a una popolazione in lotta si contrappone il potere, incarnato nell’immondizia, la cui puzza è difesa da uomini in armi; l’unica relazione che può esistere tra questi due schieramenti è il conflitto.
I media hanno già affilato le armi della disinformazione e raccontano la solita favola della protesta divisa tra mamme cattoliche e pacifiche e camorristi infiltrati o gruppi ideologizzati, pronti alla violenza per difendere chissà quali loschi interessi: evidentemente nessuno dei pennivendoli mainstream è stato al corteo, di venerdì notte, altrimenti si sarebbe reso conto che al buio era impossibile distinguere i volti tra buoni e cattivi, comunisti, anarchici, ambientalisti, mamme e bambini, e che le voci cantavano lo stesso coro: “Giù le mani dalla nostra terra!”
A Terzigno c’è anche la camorra, anch’essa indistinguibile dal resto. Quello che i giornali non scrivono è che sta dall’altra parte della barricata, va in giro di giorno e non di notte, e sotto la luce accecante del sole non si distingue dagli imprenditori “legali” che traggono profitto dalle discariche e dagli inceneritori da diciassette anni; vestono uguale, stesse giacche e cravatte, con l’unica differenza che la camorra non appalta l’esercizio della violenza allo Stato, la gestisce in proprio.
I rifiuti sono ottimi da mangiare
L’elenco delle spiegazioni parziali sull’origine dell’emergenza rifiuti è infinito: interessi criminali, urbanizzazione totale del territorio, errori o superficialità amministrative…di fronte alle crescenti proteste della popolazione, che proponeva e propone piani alternativi di smaltimento (riduzione della produzione all’origine, compostaggio dell’umido, riuso, riciclo, raccolta differenziata porta a porta) si rispondeva e si risponde che ci vuole tempo, l’immondizia è tanta, la popolazione campana è incivile, non sa fare la differenziata, i rifiuti sono troppi, finchè c’è l’emergenza bisogna pensare a smaltire rapidamente…
La risposta è solo una, chiara e semplice: i rifiuti sono buoni, e fanno bene; per godere appieno delle loro qualità, bisogna mangiarli così come sono, senza trattamento. Per anni la FIBE, il consorzio con a capo Impregilo che aveva preso in appalto la gestione dei rifiuti in Campania, individuava i siti di conferimento non sulla base di valutazioni di impatto ambientale, ma di redditività dei terreni: non a caso le cave d’argilla erano le preferite. Se poi ad un certo punto la magistratura decretava la chiusura di un sito, magari perchè troppo vicino ad una falda acquifera, il guadagno era già stato realizzato. Quando l’immondizia era troppa e non si sapeva dove metterla, la Campania la esportava, pagando prezzi esorbitanti alle ditte nazionali o europee che la compravano: una di queste, in Germania, era consociata FIBE, che quindi vendeva immondizia a sè stessa.
Nel frattempo andavano avanti i lavori di costruzione del megainceneritore di Acerra (“collaudato” nel 2009, rotto nel 2010) e dei sette impianti di produzione di CDR (Combustibile da Rifiuti, ottenuto dalla frazione secca) che dovevano “alimentare” l’inceneritore: nelle cosiddette ecoballe veniva trattato anche l’umido (si trovavano anche carcasse di animali) per aumentarne il peso, e quindi il prezzo; l’inceneritore, già estremamente redditizio in fase di costruzione, ha iniziato a bruciare rifiuti indifferenziati, vendendo a caro prezzo l’energia elettrica prodotta in quanto, secondo normativa, l’energia degli inceneritori è “verde” (provenendo dallo smaltimento dei rifiuti) e quindi in barba al “sacro principio” della libera concorrenza va premiata con prezzi più alti, scaricati sulle bollette.
Allo stato attuale l’inceneritore è rotto, le discariche quasi piene; per decreto governativo nei siti di conferimento possono essere portati anche rifiuti speciali (il cui costo di smaltimento è maggiore, quindi maggiori sono i guadagni); la differenziata è praticamente a zero; il disastro è direttamente proporzionale alla redditività dell’emergenza, tant’è che imprese internazionali fanno a gara per accaparrarsi la gestione dei rifiuti in Campania.
La camorra, in questo contesto, fa quasi ridere: il giro d’affari connesso alla gestione “legale” dei rifiuti è talmente enorme da annichilire i guadagni, pur consistenti, della criminalità organizzata derivanti dalla gestione di discariche abusive e dallo smaltimento abusivo di rifiuti speciali.
A questo punto la domanda è inevitabile: quale imprenditore, politico, camorrista sano di mente rinuncerebbe a cuor leggero a una tale miniera d’oro? È evidente che la soluzione può venire solamente dalla lotta di coloro che subiscono queste politiche, dall’imposizione dal basso, attraverso il conflitto, di una gestione alternativa del ciclo dei rifiuti.
Terzigno e noi
Lo sguardo del resto d’Italia sulla situazione dei rifiuti in Campania ondeggia tra il razzista e l’indifferente: cambia quando ci si sveglia e si scopre – come a Roma, come a Palermo – che il problema dei rifiuti ce l’abbiamo anche sotto casa, che siamo più “napoletani” di quanto immaginassimo.
Dove finisce l’immondizia nella nostra bucolica regione? La mangiano le caprette? Si trasforma per magia in montagne verdi? La nostra regione, come la gran parte d’Italia, bivacca tra discariche legali, abusive, inceneritori esistenti e progettati: del resto, se questo modello di gestione si è rivelato così redditizio in Campania, perchè abbandonarlo?
Il Molise ricorre alle discariche per l’87% dei suoi rifiuti, la raccolta differenziata non supera il 5%, ha un tasso di inquinamento acquifero altissimo e, proprio di recente, ha visto tagliati i fondi alle strutture di controllo e monitoraggio ambientale. Ci sono rimasti pochi passi da fare ancora per essere travolti dai rifiuti, a meno che non invertiamo la rotta, iniziando a scendere in piazza contro la devastazione del nostro territorio.
Le lotte degli ultimi anni in Campania, da Pianura a Chiaiano, hanno dimostrato che, se da un lato il nemico è forte e organizzato, dall’altro lato la risposta popolare, organizzata e combattiva, vince, o quantomeno contribuisce alla creazione di consapevolezza e coscienza rispetto al problema. Se ieri in Campania poteva accadere che le lotte si fermassero al raggiungimento dell’obiettivo di non avere una discarica “nel proprio giardino” (Not In My Back Yards), oggi i diversi comitati sono uniti e solidali tra loro nel chiedere una radicalmente diversa gestione dei rifiuti su tutto il territorio, e si oppongono, sempre solidali, ad ogni soluzione che preveda l’installazione di discariche lì dove l’opposizione è più debole. L’esperienza campana, infine, ha contribuito ad un crescita del livello di coscienza anche sul resto del territorio nazionale.
Il 16 Ottobre a Montagano ci sarà una manifestazione per dire No alla costruzione di un inceneritore vicino alla preesistente discarica, e fare pressioni per una gestione radicalmente alternativa dei rifiuti, senza chiudersi in campanilismi inutili ma facendo rete con comitati di altri paesi, altre regioni: partiamo da qui per costruire e ampliare nuovi fronti di lotta alla devastazione e allo sfruttamento.
Giù le mani dalla nostra terra!