Sintesi dell’intervento di Paolo Di Lella all’assemblea di “UnitiControLaCrisi” – 20/01/11

In questi giorni, nel dibattito politico televisivo, si è tentato di sviluppare il tema dei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro alla luce della svolta nelle politiche industriali che Marchionne sta tentando di imporre al mondo del lavoro. Lo schema è più o meno questo: ci si chiede se sia giusto determinare un cambiamento radicale senza che ci sia il consenso da parte di chi, all’interno della fabbrica, spende la parte migliore delle sue giornate.

La risposta è di quelle che non lasciano scampo. I nostri illuminati analisti, dimostrandosi ancora una volta “più realisti del re”, si affannano a spiegare quello che tutti hanno già sotto gli occhi, e cioè che qualcosa è cambiato rispetto al periodo delle grandi rivendicazioni operaiste e che ora gli imprenditori possono in qualsiasi momento spostare gli impianti produttivi da una parte all’altra del mondo senza rendere conto ad alcuno, tanto meno allo Stato, e poco importa se quest’ultimo, per decenni, abbia mantenuto in piedi con ingenti finanziamenti un’azienda che nel frattempo attuava una politica industriale irresponsabile e poco lungimirante mentre nel resto d’Europa s’investiva nell’innovazione e nella qualità…

E’ la globalizzazione, si dice. E si sostiene anche che la fase super-liberista che ha caratterizzato il mercato internazionale negli ultimi trent’anni sia stata una scelta obbligata dallo sviluppo globale anziché dalle esigenze del capitale.

In pratica, cicli protezionisti e liberisti si sono succeduti per garantire uno sviluppo “guidato” che garantisse il protrarsi oltre i termini naturali dei privilegi acquisiti con le politiche colonialiste.

E ora? Bisogna pur andare avanti. Ed è così che coloro che sono le vittime storiche del vecchio colonialismo devono ora entrare anch’essi nella modernità e trasformarsi in consumatori, in nuove vittime del moderno imperialismo.

Questa è la strategia per uscire dalla crisi, o meglio: è la strategia del capitale per far pagare i costi della sua crisi alla classe lavoratrice. Per rinnovare lo sfruttamento secolare.

Un grande tavolo intorno al quale siedono i rappresentanti degli imperialismi continentali, compresi quelli emergenti che scalpitano per guadagnare il posto di capo tavola. Sotto il tavolo stanno i moderni schiavi, i salariati, ad ammazzarsi tra loro per raccogliere le briciole.

Si chiama competizione salariale, in italiano si traduce: filosofia Marchionne.

Care compagne e compagni, del resto non c’è da illudersi. Lo spettacolo indecoroso dei politicanti nostrani non è altro che il segno dei tempi. Tempi che impongono ai lavoratori nuove forme di schiavitù e ai governi nazionali il compito di socializzare le perdite.

La questione non è inseguire questa o quell’altra ricetta particolare, né siamo così ingenui da credere che il modello tedesco costituisca una manna dal cielo per i lavoratori, anzi…

Sullo sfondo di qualsivoglia politica industriale incombe sempre, come un macigno, il Plusvalore, per cui la scelta in fin dei conti si riduce a due possibilità: diminuire il salario o aumentare le ore di lavoro a parità di salario. Insomma la ricetta di questi geniali economisti al soldo del capitale industriale e finanziario, consiste semplicemente nell’aumentare le ore di lavoro gratuito. Denaro fresco da poter investire nella costruzione di case che rimarranno invendute, il cui prezzo scenderà, il cui effetto sarà di rendere gli speculatori insolventi, le banche in crisi di liquidità, e gli stati indebitati… una bolla tirerà l’altra!

Ma come ha dimostrato Mirafiori, a volte nel bel mezzo di questi complicati ingranaggi, si annidano delle piacevoli sorprese. Sì, perché anche se lor signori fanno finta di dimenticarlo, alla base di ogni struttura economica c’è il lavoro materiale degli uomini e delle donne. In carne e ossa. Uomini e donne la cui capacità di sopportare le ingiustizie ha un limite.

C’è un solo modo di mettere questo sistema con le spalle al muro ed è quello di fermare la produzione. Il 28 gli operai saranno protagonisti e non saranno soli. Sarà l’occasione per tutto il movimento antagonista di compiere un salto di qualità.. verso lo Sciopero Generale!