Sommario. Il 20 dicembre scorso è morta, dopo cinque mesi di coma, Carmen Otero Diaz, una donna di Vinchiaturo originaria del Venezuela. La donna era finita in ospedale il 12 luglio scorso a causa della violenza di suo marito, Liberato Petrecca, sessantottenne di Vinchiaturo.
Quante sono in Molise le donne che subiscono violenza fra le mura domestiche? Su quali servizi possono contare per trovare aiuto? Quanti vicini di casa accorrono e quanti, invece, fanno finta di non aver sentito? Quanti uomini non sopportano l’idea di essere abbandonati e, anche se non arrivano ad atti così cruenti, perseguitano, minacciano, molestano le proprie ex compagne?
La violenza contro le donne non è una questione di ordine pubblico, e nemmeno un problema “umanitario”. E’ una questione politica. L’articolo contiene anche dati statistici sulla violenza maschile contro le donne e sui centri antiviolenza in Molise.
Il 20 dicembre scorso è morta, dopo 5 mesi di coma, Carmen Otero Diaz, una donna di Vinchiaturo, originaria del Venezuela, finita in ospedale a causa della violenza di suo marito, Liberato Petrecca, sessantottenne di Vinchiaturo.
Il 12 luglio del 2010 i vicini di casa, allarmati dalle urla dell’ennesima lite, l’avevano trovata ai piedi delle scale, con il volto coperto di ecchimosi. L’avevano quindi portata all’ospedale Cardarelli, dove dopo alcuni giorni era entrata in coma.
Il marito, accusato all’epoca di lesioni volontarie aggravate, adesso deve rispondere dell’accusa di omicidio.
Secondo quanto hanno riportato i giornali, la donna, ormai separata dal marito, aveva chiesto di poter beneficiare dell’assegno di mantenimento già riconosciutole dal Tribunale di Campobasso. Il marito aveva fatto di tutto per non pagarglielo e aveva addirittura intentato delle azioni legali contro Carmen, rimediando però soltanto delle sconfitte. Carmen, assistita dall’avvocato Barisciano, aveva anzi ottenuto che l’assegno di mantenimento, di cui aveva bisogno per affrontare delle spese mediche, fosse trattenuto a monte dall’ente previdenziale dell’ex marito e pagato direttamente a lei. Liberato Pretrecca considerava tutto questo un affronto alla sua persona; il 12 luglio, si è accanito contro Carmen, per poi tentare di sostenere che fosse caduta dalle scale. E dopo 5 mesi di coma, Carmen si è spenta definitivamente.
Quante sono in Molise le donne che subiscono violenza fra le mura domestiche? Su cosa possono contare per trovare aiuto? Quanti vicini di casa accorrono e quanti, invece, fanno finta di non aver sentito? Quanti uomini non sopportano l’idea di essere lasciati e, anche se non arrivano ad atti cruenti, perseguitano, minacciano, molestano le proprie ex compagne?
Riflettere su queste domande è forse il modo migliore di rendere omaggio alla memoria di questa donna, e al coraggio e al dolore dei figli, che si sono costituiti parte civile nel processo contro loro padre, difesi dallo stesso legale della compianta mamma.
Da un’indagine Eures-Ansa, basata sui dati delle agenzie di stampa incrociati con quelli delle questure, risulta che il 70% delle donne assassinate in Italia nel 2009 sono state aggredite fra le mura domestiche, proprio come è accaduto a Carmen Otero Diaz.
Inoltre, dalla stessa indagine, risulta che il ‘tranquillo’ Molise, almeno in base ai dati del 2009, sia una delle regioni dove è più alto il numero di femminicidi a causa di violenza domestica in rapporto alla popolazione residente.
In altri termini, in Italia è molto più probabile essere uccise da un marito violento che da un maniaco, da un malvivente o da un rapinatore per strada.
Nella nostra regione, si stima che il 25% delle donne di età compresa fra i 16 e i 70 anni, cioè una su quattro, abbia subito violenza fisica o sessuale una o più volte nella vita, e che oltre l’80% di queste l’abbia subita da parte di un partner o di un ex partner (dati Istat 2006, l’ultima ampia indagine statistica disponibile in Italia sul tema della violenza maschile contro le donne in tutte le sue forme – 25 mila donne intervistate).
Insomma, pensate a tutte le donne fra i 16 e i 70 che conoscete in Molise – una ogni cinque ha subito una o più volte violenza fisica o sessuale da parte del proprio fidanzato, marito, compagno o ex compagno.
Se il dato vi sembra inaudito, è perché il 97 % delle molisane intervistate non ha denunciato il fatto e – denunce penali a parte – una donna su tre in Italia non ne ha nemmeno parlato con nessuno, percentuale che sale al 45% nel caso in cui l’autore della violenza sia il marito.
Il matrimonio, dunque, è un’efficace garanzia di impunità per gli uomini violenti.
Tuttavia, non bisogna pensare che la maggior parte delle violenze riguardi le donne più anziane, spostate, che vivono in contesti familiari “arretrati” e “patriarcali”. I risultati dell’indagine Istat, infatti, mostrano che le donne che più frequentemente subiscono violenza sono quelle fra i 25 e i 34 anni (su questo dato può però influire la maggiore capacità delle persone più giovani e istruite di riconoscere e nominare la violenza come tale).
Quali servizi vengono offerti alle donne molisane per proteggersi dalla violenza domestica?
Dalle pagine web dell’assessorato alle pari opportunità della Regione Molise, con un po’ di difficoltà si riescono a rintracciare le seguenti informazioni:
– Centro antiviolenza di Isernia, c/o Consultorio distretto sanitario, tel. 0865/442403
– Equipe antiviolenza del Consultorio familiare di Campobasso, tel. 0874.40909
Il centro antiviolenza “La Fenice”, della Croce Rossa di Campobasso, è l’unico che figura con tanto di indirizzo e orari di sportello. Peccato che non sia più attivo, e che gli orari, anche all’epoca in cui funzionava, non fossero esattamente quelli. La prima considerazione da fare, insomma, è che la comunicazione lascia un po’ a desiderare.
Del resto, la violenza contro le donne non si combatte solo dando alle donne che la subiscono tutto il sostegno e la protezione necessaria per reagire. La violenza domestica è un problema che affonda le sue radici nella cultura macista che ancora pervade la nostra società, nella scarsa considerazione delle donne e delle loro capacità in tutti i campi, nella non autonomia economica delle donne, nell’omertà sul problema della violenza di coppia.
Quindi interventi educativi nelle scuole, sensibilizzazione e formazione specifica er il personale medico e di polizia (perché sappia riconoscere e nominare la violenza di coppia invece di incoraggiare, con la propria malintesa “discrezione”, l’omertà), promozione dell’autodeterminazione delle donne in tutti i campi (sessuale, procreativo, economico) e della visibilità delle donne nei contesti pubblici, sono azioni altrettanto importanti della costituzione di centri antiviolenza facilmente accessibili, professionalmente validi, ispirati da una visione “laica” e che metta al centro la capacità di autodeterminazione delle donne che si rivolgono al centro.
Nei convegni organizzati negli ultimi anni in Molise dall’Assessorato regionale alle Pari Opportunità sul tema della violenza maschile contro le donne la maggior parte dei relatori era costituita da magistrati, personale di polizia, avvocati, medici, preti.
Inoltre, la fiaccolata “Contro ogni forma di violenza” che si è tenuta a Campobasso il 29 novembre scorso sembra essere stata, almeno a giudicare dalle parole con cui l’ha presentata il presidente del Consiglio regionale Michele Picciano nella conferenza stampa ufficiale, un modo sfacciato di annacquare, spoliticizzare e neutralizzare la Giornata internazionale contro la violenza alle donne (25 novembre), per di più con un’iniziativa che è la copia tarocca e qualunquista della Staffetta organizzata dall’UDI.
Ma la violenza contro le donne, perpetrata dagli uomini di tutte le classi sociali, non è una questione di generica “lotta a ogni forma di violenza”. Non è un problema di ordine pubblico, di legalità, nè di carità cristiana [e comunque, con che faccia possono su un simile argomento intervenire dei religiosi che, per quanto vogliano di tutto cuore aiutare le donne abusate, fanno comunque parte di un’istituzione che promuove l’indissolubilità del matrimonio, condanna la contraccezione e ritiene “sacre” le parole dell’apostolo Paolo “donne, state sottomesse ai vostri mariti”?!]. La violenza contro le donne è una questione politica, perchè si origina, in definitiva, nella disparità di potere fra i sessi nella nostra società.
Grazie all’auto-organizzazione di un gruppo di donne molisane, però, ci sono state negli ultimi anni in Molise anche occasioni di dibattito pubblico in cui il tema della violenza contro le donne non è stato spoliticizzato e ridotto a una questione giudiziaria o medico-legale.
Il gruppo Amnesty International di Campobasso ha infatti organizzato un ciclo di conferenze a Iserina in collaborazione con associazioni di donne, e ha spesso affrontato il tema della violenza contro le donne nel corso dei propri interventi nelle scuole, con attività che partivano anche dall’esperienza concreta delle ragazze.
Inoltre, in seguito a un altro caso di femminicidio che ebbe luogo a Campobasso nell’ottobre del 2008, un gruppo di attiviste prese a incontrarsi ogni giovedì presso la caffetteria Morelia, e organizzò la presentazione a Campobasso del libro “Femminicidio” di Barbara Spinelli.
Allora fu la morte di Maria De Benedittis per mano del marito Antonio Scalabrino a colpire questo gruppo di donne e a convincerle che era necessario rendere pubblica una riflessione sulla violenza maschile e sulla condizione della donna in famiglia e nella coppia.
La morte di Carmen Otero Diaz, forse perché avvenuta in campagna, non ha avuto lo stesso impatto che ebbe sull’opinione pubblica l’uccisione di Maria De Benedittis. Ho deciso di scriverne perché la sua storia non fosse dimenticata.
La violenza maschile contro le donne è una realtà molto più ampia, tragica e vicina di quanto di solito si crede. Il numero delle donne picchiate, violentate, uccise dai loro compagni o ex compagni è altissimo ed è un argomento che – si suppone – dovrebbe smentire una volta per tutte il luogo comune secondo cui “il femminismo è superato”, “al giorno d’oggi c’è la parità” e “cosa avete ancora da lamentarvi voi donne”.
Ma la necessità di una politica femminista non ha bisogno della triste prova di un’autopsia per essere evidente nella vita di tutte noi. Il nostro impegno per la libertà femminile nasce certo dalle violenze – piccole o grandi, eclatanti o nascoste, riconoscibili o ambigue – di cui siamo vittime ogni giorno. Ma nasce anche, per fortuna, dalla libertà e dal piacere che scaturisce dalle piccole e grandi pratiche di resistenza e di liberazione che ogni giorno mettiamo in pratica.
Alessia Acquistapace