Niente Di Bello, Pasquale, ovvero: delle miserie del giornalismo e dell’ipocrisia della “memoria condivisa”

Domani, 25 Giugno, a Ferrazzano, l’Osservatorio sulla Repressione organizza la presentazione del libro “Compagna Luna” di Barbara Balzerani. Un’occasione troppo ghiotta per il giornalismo molisano, lo riconosciamo: condannate dalle dimensioni microscopiche a barcamenarsi tra l’origine del toponimo della Contrada Femmina Morta e gli improbabili avvistamenti estivi di pantere nei boschi di Campolieto, le penne nostrane non possono che gettarsi a capofitto sull’evento se dalle nostre parti passa una celebrità nazionale; che si tratti di Marco Mengoni, Gabriella Carlucci o Barbara Balzerani poco importa.

Pasquale Di Bello, a.k.a. Corrado Sala, non si sottrae alla regola, e coglie l’occasione per scrivere un pezzo degno di essere studiato nelle migliori scuole di giornalismo in occasione della lezione su come NON si scrive un articolo. Umilmente proviamo a sottolineare alcune, piccole sbavature:

1.      horror sanguinis. Nella tragedia greca era di prammatica non rappresentare le scene di sangue, si preferiva piuttosto che uno dei personaggi le narrasse. Si riteneva che non fosse elegante farlo, e questa sorta di autocensura estetica ha fatto scuola, tant’è che uno dei motivi che porta a dubitare che le tragedie senecane, in ambito latino, fossero rappresentate risiede proprio nella presenza ripetuta di scene grandguignolesche. Di Bello Pasquale sembra di un’altra scuola, invece, e cerca di scuotere il sonnacchioso lettore ricorrendo a un vero e proprio abuso di parole che richiamino, con forte potenza evocativa, la morte, il dolore fisico, il pianto, la depravazione umana: trucidare, barbaro, carogne, belva assassina, teppaglia criminale. Rimanendo al di là dei giudizi di merito, ricordiamo a Di Bello che nelle scuole superiori si insegna che il linguaggio per la cronaca dovrebbe essere diverso da quello usato per l’invettiva, o per la sceneggiatura di un poliziottesco anni ’70.

2.      Reductio ad Molisem. A costo di essere tacciati di cinismo, ma non ci sembra che aggiunga molto ad uno degli eventi storici più importanti del secondo dopoguerra in Europa rimarcare in modo insistito che uno dei cinque poliziotti di scorta a Moro fosse molisano: Molisano era uno degli uomini della scorta di Moro trucidato in Via Fani: Giulio Rivera, che riposa a Guglionesi, nel comune dove nacque; Quel giovane di 24 anni era di Guglionesi, in provincia di Campobasso; A Guglionesi oggi vivono ancora i suoi familiari; …Osservatorio sulla Repressione che…ha pensato bene di invitare Barbara Balzerani proprio in Molise, a pochi chilometri da Guglionesi (precisamente a Ferrazzano); Quella medesima terra dove Giulio Rivera nacque e sotto alla quale riposa, nel piccolo cimitero di Guglionesi. C’è un tasso di provincialismo oltre la soglia della tollerabilità, lo stesso che ritroviamo nei puntuali servizi sull’origine ferrazzanese di Robert De Niro o sulla bisnonna della Cucinotta sepolta a Campobasso. Parole ridondanti che potevano essere risparmiate, per entrare un po’ più nel merito del libro, ad esempio, o dell’esperienza storia delle Brigate Rosse, al di là del grandguignol di cui al punto 1.

3.      Difronte. Forma meno comune, secondo la Crusca, di ‘di fronte’, a modesto parere di chi scrive maggiormente preferibile.

Ci si sarebbe aspettati altro, e di meglio, da Di Bello Pasquale, che è stato anche direttore di quotidiani e oggi dirige Il Ponte on-line.

Qualche parola, ad esempio, su che cosa sia l’Osservatorio sulla Repressione, che da anni si occupa di carceri, condizioni di vita dei detenuti, abusi delle forze dell’ordine; che ha seguito con scrupolo e attenzione i casi di Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, che è in prima linea nelle battaglie contro l’ergastolo e per l’adozione di numeri identificativi per gli agenti antisommossa.

Qualche parola, ancora, magari più sommessa, sulle politiche repressive messe in atto dallo Stato italiano a partire dagli anni ’80, determinatesi in un abuso delle pene detentive, per durata e gravità, denunciato anche da organizzazioni indipendenti internazionali.

Qualche parola, di nuovo, meno accecata dall’odio, a ricordare che la Balzerani ha espresso più volte il suo rammarico per il dolore personale che le sue scelte politiche hanno causato; un ritratto più obiettivo, se possibile, anche in considerazione del fatto che, almeno formalmente, in Italia chi ha scontato una pena ritorna, salvo eccezioni, in possesso dei pieni diritti di cittadinanza, in particolare della libertà d’opinione e d’espressione.

Infine, ci sarebbe piaciuto se, senza cedere a condanne o assoluzioni troppo rapide, Di Bello Pasquale avesse colto l’occasione per ragionare coi lettori su ciò che resta della stagione della lotta armata in Italia, provando a gettare su quegli anni uno sguardo che ne misurasse cause ed effetti con un piglio più da storico e meno da pubblico ministero, anzi, da rivista scandalistica.

Ma siamo nel paese in cui si vendono centinaia di migliaia di copie dei libri di un anziano giornalista che dipinge i partigiani come belve assetate di sangue; siamo nella penisola dove ogni evento storico, dalla conquista della Gallia ad opera di Cesare al Risorgimento Italiano, passando per la Repubblica Romana, l’assassinio di Umberto I e la vittoria della Nazionale ai Mondiali ’82 sono rimessi in discussione come se si trattasse di attualità; siamo nella patria dell’eterno presente, dove le uniche categorie che contano sono Odio e Amore, rigorosamente con la Maiuscola, declinate in tempi più recenti in una più morbida contrapposizione Mi piace/Non mi piace più, nell’adesione a una estemporanea causa sotto la forma di Diventa fan.

L’articolo che avremmo voluto leggere è stato scritto in un altrove temporale, un altro mondo possibile sulla falsariga di quelli della serie fortunata di Ritorno al Futuro, dove Marty McFly deve fare di tutto per portare la madre a innamorarsi di nuovo del padre, altrimenti lui sparirà dalla fotografia; un altro Molise dunque, in un’altra Italia, due posti che non esistono e che, quindi, rendono un sogno l’articolo che avremmo voluto.

Non ci resta quindi, in questa realtà, che accontentarci di questo pezzullo e anzi fare i complimenti più sentiti all’autore: veramente (Di) Bello, Pasquale!

Una risposta a “Niente Di Bello, Pasquale, ovvero: delle miserie del giornalismo e dell’ipocrisia della “memoria condivisa””

  1. Ciao Paolo,
    complimenti per l’articolo, ti scrivo da “ex” dipendente e collaboratore di Pasquale Di Bello.
    Purtroppo la mia avventura con il Ponte Online è naufragata miseramente, e ti scrivo proprio per segnalarti l’unica inesattezza che hai inserito nel tuo articolo: lui oggi non dirige più alcunchè, quella testata è ormai clinicamente morta…e se il sito resiste è solo questione di tempo. Presto probabilmente finirà offline. Di Bello oggi è editorialista e collaboratore de Il Giornale del Molise (online) e di Telemolise. Chi ti scrive purtroppo non ha avuto la capacità di inquadrare subito il personaggio, e si è fidato delle sue parole, delle sue promesse e della sua presunta avversione al “potere”, salvo poi ritrovarselo qualche mese dopo a braccetto con la Petescia, della quale il Di Bello non aveva certo un’opinione lusinghiera (per usare un eufemismo). Ti saluto e complimenti ancora per il pezzo.

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