Perché (ancora) Tratturi. Un bilancio, tre anni dopo

logo segnale defL’estate di quasi tre anni fa, prima che le ripartenze tornassero a svuotare la regione, debuttammo on-line col blog Tratturi. Scrivemmo, per l’occasione, un manifesto ambizioso: venivamo da un periodo relativamente vivace dal punto di vista dei movimenti e, in particolare, eravamo favorevolmente impressionati dalla capillarità della mobilitazione per i referendum, poi vittoriosi, su acqua e nucleare, e dall’intensità delle proteste studentesche di quegli anni.

A distanza di qualche anno, dopo tanti articoli, dibattiti in mailing list, qualche iniziativa sul territorio e varie chiacchiere natalizie davanti ad un bicchiere di vino, scriviamo questo articolo per fare un bilancio della nostra esperienza finora. Bilancio che ci ha portati a darci una nuova forma e nuovi obiettivi, che troverete nella versione 2.0 del nostro manifesto. A distanza di qualche tempo, ci siamo rese conto che c’era un inconfessato ottimismo, dietro il nostro primo manifesto: tre anni fa ci sembrava che la nostra regione, ultima in ogni classifica tranne che in quelle per il consumo di alcolici, stesse partecipando, con una qualità e quantità per noi inaspettata, ad una ritrovata mobilitazione popolare. 
Tramite il blog ci proponevamo di ricostruire le relazioni umane e politiche ciclicamente interrotte dall’emigrazione, e di dare, col blog, il nostro contributo all’integrazione della nostra regione nel percorso di ripresa di parola che stavamo osservando, vivendo, costruendo.

A sinistra c’è una moda che potremmo definire “l’avevamodettismo”: si fa a gara a chi aveva previsto con maggiore precisione ciò che poi sarebbe avvenuto, e si immagina sempre la Storia con la maiuscola pronta a darci ragione, ad assolverci, a dire che sì, c’avevamo visto giusto. Per rompere con questa tradizione abbiamo deciso, con questo aggiornamento,  di confessare pubblicamente che, nell’ottimismo inconfessato che informava il nostro primo manifesto, avevamo avuto torto.
In particolare, abbiamo sbagliato nel ritenere, seppur inconsapevolmente, che il movimento si muovesse, appunto, motu proprio; che i condizionamenti esterni fossero ininfluenti. E invece no (ovviamente).

La caduta del Governo Berlusconi, sulla quale pochi avevano scommesso, ha  portato ad un prevedibile sgonfiarsi delle mobilitazioni: la catena di comando che dal PD condiziona la CGIL e dalla CGIL una serie inimmaginabile di annessi e connessi ha dato l’ordine di non disturbare il manovratore. Il tamburo ideologico della propaganda sul Monti  ‘salvatore’ del Paese gli ha regalato per mesi un consenso inimmaginabile, quasi masochistico, mentre la crisi, con la sua sostanza di licenziamenti, precarietà, impoverimento, sfiducia, svolgeva il ruolo di imprevedibile contrappunto. Mentre nel resto dei Paesi oggetto della rapina  capitalistica, dalla Spagna alla Grecia al Portogallo, le piazze sono  tornate a riempirsi, in Italia un mix complesso di fattori, difficili da indagare in questa sede, ha determinato uno sgonfiamento di quel processo di partecipazione crescente che aveva caratterizzato le mobilitazioni degli ultimi anni.

Il nostro collettivo redazionale non aveva immaginato tutto questo, e (anche qui un po’ masochisticamente) ha trattato per molto tempo i periodici momenti di sfiducia verso il nostro lavoro come problemi interni. Ma l’entusiasmo non cresce sugli alberi, e anche noi, come tuttu, siamo soggetti alle influenze del contesto.

Anche sul territorio si sono serrati i ranghi, i movimenti delle associazioni e dei partiti hanno preso un’altra via; messo in soffitta il costume della  ‘società civile’, col quale molte forze avevano animato la vittoriosa campagna referendaria, alcuni sono tornati al grigio lavoro  quotidiano nelle proprie organizzazioni, altri hanno speso le loro migliori energie nelle competizioni elettorali per ritornare a occupare uno scranno nel parlamentino regionale.
Altri ancora hanno visto restringersi o sparire qualsiasi spazio in cui poter fare attivismo senza rimanere invischiati in rivalità elettorali, giochi di potere, battaglie lobbystiche. E’ a loro in particolare che ci rivolgiamo, sperando che possano guardare a Tratturi come alla possibilità di riaprire un piccolo spazio per fare politica: uno spazio, è vero, essenzialmente virtuale, ma che ha dietro esperienze politiche e di vita concrete, che secondo noi vale la pena di condividere e mettere in rete.

Nei primi due anni di vita di Tratturi, abbiamo cercato di fare controinformazione su ciò che avveniva in Molise e promosso varie iniziative sul territorio, alcune delle quali anche molto riuscite.
Ma lasciatevelo dire, tutto questo ci è costato un certo sforzo: è molto difficile, abitando altrove per la maggior parte dell’anno, facendo politica altrove, riuscire a documentare ciò che avviene su un territorio in cui non si vive; ancora più difficile accollarsi soggettivamente la responsabilità di organizzare iniziative. 
Per di più, noi stessi siamo stati colpiti dal problema delle esperienze ciclicamente interrotte dall’emigrazione: i/le residenti che eravamo riusciti a coinvolgere nel blog, manco a dirlo sono emigrati, e ci siamo ritrovati con solo uno o due persone che vivevano stabilmente in Molise.
Intanto, la crisi sta avendo un impatto non solo sul nostro ottimismo/pessimismo politico, ma anche sulle nostre  vite. Anche  noi (e le nostre famiglie) siamo più poveri, più precari, più preoccupati per il futuro se studenti, e quindi più pressati ad avere determinati risultati e entro i tempi che ci vengono imposti dall’università post-gelminiana. Tutto questo toglie inevitabilmente energie e tempo all’attivismo, perché evidentemente il/la militante non campa d’aria, nè di fede nei suoi ideali!

Per tutti questi motivi, quando ci siamo incontrati durante le vacanze di natale 2012-13, avevamo la sensazione di dover rivedere il nostro progetto. A qualcuno sembrava di aver fallito negli obiettivi che ci eravamo posti, qualcun altra pur traendo un bilancio più positivo, sentiva di non poter reggere più la doppia militanza, nel suo luogo di residenza e in Molise; eppure, non volevamo che un’esperienza come quella di Tratturi finisse.
Sembrava stessimo per cantare il requiem e  invece anche questa volta ci siamo sbagliati: evidentemente, come il caro compagno Carletto Marx, non siamo in grado di “scrivere ricette per  l’osteria dell’avvenire”. Non sempre le cose vanno secondo i piani, ma a volte anche ciò che non era nei piani, ciò che ti sembra si produca per caso, si rivela prezioso, e a volte anche più prezioso. 

Ci siamo resi conto che semplicemente non poteva essere nelle nostre forze fare i giornalisti d’assalto e “coprire” tutto ciò che accadeva nel Molise con delle inchieste circostanziate; che, vivendo quasi tutt* altrove, non potevamo seguire o partecipare alle mobilitazioni molisane, né tantomeno promuoverle, o pensare di incidere su di esse.
Ci siamo accorti però che una cosa buona c’era stata, in questi due anni e mezzo: siamo effettivamente riusciti a ricucire relazioni tra di noi, tra diverse generazioni di militanti, tra molisani/e che, in giro per l’Italia e in Molise, seguono percorsi e approcci politici in parte differenti; siamo riuscite a creare un gruppo che si è confrontato e si confronta su molte questioni, sempre a partire dal nostro vissuto quotidiano di fuorisede/militanti. Questo vivace dibattito è sfociato nella produzione di articoli che hanno fornito spesso punti di vista inediti su fatti e vicende che riguardavano, più o meno direttamente, anche il Molise.

Su tutto questo vogliamo continuare a lavorare per ridare vero e nuovo slancio a questo progetto.
Dunque prendiamo atto ufficialmente di non avere il dono dell’ubiquità (non ancora, ci stiamo lavorando!), scarichiamo il fardello autoimposto della doppia militanza (nel luogo di residenza e nel luogo d’origine) e proviamo a sperimentare una nuova forma di Tratturi, più fluida e più compatibile con le nostre esigenze di vita. 

Abbiamo scritto un nuovo manifesto, che trovate qui: nuovi obiettivi da fallire, una nuova occasione per sorprenderci a fare tutt’altro rispetto a quello che ci eravamo proposti, e scoprire che era proprio quello di cui c’era bisogno.