Il mediterraneo è anche qui: in una regione adriatica, pochi chilometri di costa, tante montagne, tanto cemento. Da Lampedusa sono arrivati 250 migranti, che sono stati “sistemati” in una tendopoli allestita nei pressi di Campochiaro. La tendopoli verrà gestita dalla protezione civile e dai vigili del fuoco, nonché dalla associazione umanitaria “connecting people”.
Tutto procede per il meglio. Anche l’associazione “connecting people” esprime soddisfazione dalle colonne del suo sito ufficiale per la direzione presa dal governo e per la decisione di concedere permessi di soggiorno provvisori ai migranti. Peccato, però, che le tende blu, che abbiamo imparato a conoscere fin dai tempi del terremoto all’Aquila, richiamino alla mente più la militarizzazione del territorio che l’accoglienza; allo stesso tempo le reti, i cancelli, i lunghi e alti muri, sembrano farci pensare alla detenzione forzata, piuttosto che alla libertà di movimento e di circolazione.
Siamo ormai fin troppo abituati a sentire puzza di bruciato ogni qual volta si parla di emergenza. La protezione civile, oltre ad aver preso le sembianze di una congrega di affaristi, assomiglia sempre di più a un corpo paramilitare: il compito di mantenere l’ordine e la quiete è ciò che si nasconde dietro l’espressione di gestione dell’emergenza. L’Italia sta sperimentando nuove forme di detenzione e di controllo, forme estremamente avanzate e violente. I C.P.T., centri di permanenza temporanea istituiti dalla legge Turco-Napolitano del 98 e ora trasformati in C.I.E., centri di identificazione ed espulsione, sono dei veri e propri lager. E le tendopoli non sono altro (l’Aquila ce l’ha insegnato) che prigioni a cielo aperto, meno costose in termini di struttura, ma ugualmente micidiali rispetto al costo di vite umane e diritti civili. I C.I.E. sono la negazione stessa dell’umanità. I migranti sono rinchiusi lì dentro senza sapere per quanto tempo, sottoposti a ogni tipo di violenza e brutalità, senza alcun riguardo per le loro provenienze, storie, esigenze, culture. Le uniche vie di fuga sono, nella migliore delle ipotesi, la rivolta e l’evasione; nella peggiore, la follia, l’autolesionismo, il suicidio.
Le nuove tendopoli, dicevamo, non sembrano diverse. Non sono diverse dai C.I.E., come non sono diverse le associazioni che le gestiscono. Nello specifico, l’associazione (“connecting people”, appunto) che gestisce le tendopoli di Manduria e di Campochiaro è la stessa che gestisce i C.I.E. di Gorizia e Trapani, protagonisti di numerose rivolte fra l’autunno del 2010 e la primavera (adesso) del 2011, per le condizioni disumane in cui versavano i migranti.
D’altra parte, se è vero che i C.I.E. sono i “buchi neri della democrazia italiana”, riprendendo la definizione di Iside Gjergij, le nuove tendopoli sembrano un ulteriore passo avanti verso l’involuzione della democrazia fondata sui così detti diritti civili. Non è un caso che l’accesso a questi luoghi stia diventando sempre più difficile e che il ministro Maroni abbia vietato l’ingresso ai centri di Lampedusa e di Manduria anche a senatori e deputati.
L’importante è prendere tempo: di fronte ai barbari che premono alle frontiere, l’Europa – come in una partita a scacchi giocata male – non ha trovato nessuna strategia migliore che l’arrocco; ovvero, prendere la massa umana e tenerla parcheggiata per un po’, tenerla ferma, identificarla con calma e poi abbandonarla a se stessa in uno stato di clandestinità sempre più perseguito, e lasciare così alti numeri di vite umane nella jungla del mercato selvaggio del lavoro. Tutti gli esperimenti vanno in questa direzione: dai CPT ai CIE alle prigioni di Gheddafi, che controllava, grazie ai criminali accordi italo-libici, tutto il flusso migratorio dell’Africa centrale che passava per la Libia. I soldi italiani permettevano a Gheddafi di investire in repressione e, contestualmente, di dotarsi di sistemi militari e di strutture che permettessero di controllare i traffici umani e rimandare indietro i migranti oppure imprigionarli in condizioni disumane.
Ora che questa garanzia viene meno, l’unica risposta che l’Italia può dare è il controllo alle frontiere e la moltiplicazione di centri sparsi nel territorio in cui contenere i flussi migratori, nell’attesa di decidere chi debba essere mandato indietro e chi possa rimanere per soddisfare le esigenze del PIL italiano. (Secondo la ricerca di Salvatore Palidda, “il crime deal italiano”, contenuta nel volume razzismo democratico si vede che gli stranieri contribuiscono al 13% del PIL nazionale, e gli stranieri irregolari del 3-4%).
La proposta dei permessi di soggiorno temporanei non è altro che l’ennesimo tentativo di prendere tempo, sperando che una parte di loro vada in Francia e che l’altra parte rientri in quel circuito di clandestinità fatto di lavoretti a nero, reclusioni nei CIE, evasioni, lavoretti e di nuovo reclusioni, magari rimpatrio, nuovo viaggio, reclusione, evasione, lavoro, ancora reclusione, in un girone infernale senza fine dove l’unico denominatore comune è la violenza del capitale.
Per questo non ha senso rivendicare come una vittoria quella proposta che è il frutto naturale di una logica secondo cui l’esistenza di una persona deve essere giudicata sulla base della funzionalità a un sistema di sfruttamento economico.
Cosa fa un uomo di fronte alla violenza e al pericolo della morte? Corre. Scappa dai CIE, così come scappa dalle tendopoli di Manduria o di Campochiaro, così come scappa dalle bombe occidentali, dalle guerre, e dalla fame e dalla miseria decisa da un ordine mondiale fatto di sfruttamento.
Il mediterraneo siamo noi: i rapporti coloniali e neo-coloniali che l’occidente ha costruito e mantenuto con i Paesi nord-africani, attraverso il rafforzamento di potentati e dittatori locali, ha prodotto un contesto di violenza economica fatta di bassi salari, aumento del costo della vita e precarietà da cui gli uomini scappano per trovare un destino terribilmente simile, anche se più patinato, nella ricca Europa. La Tunisia, la Libia, l’Egitto, hanno costruito un capitalismo sul modello occidentale che ha escluso la maggior parte della popolazione dalla spartizione di ogni forma di ricchezza a tutto vantaggio dei nostri cantieri edili, delle nostre imprese petrolifere, delle nostre opere di ingegneria.
Come se non bastasse, tutte queste forme di controllo e di repressione affermano una inquietante soppressione dei diritti e una precarizzazione del lavoro e delle vite umane che sembra avvicinarsi sempre di più a noi che a torto ci consideriamo privilegiati e vicini a chi emigra solo da un punto di vista culturale o umanitario.
La verità è che il laboratorio dell’Europa sui migranti è il nostro futuro. Il controllo e la precarizzazione saranno gli strumenti attraverso cui il capitalismo occidentale costruirà la forza del lavoro del XXI secolo, quella che dovrebbe garantirgli di superare la crisi storica che affronta da 40 anni.
Ma questa è un’altra storia, una storia che temiamo di raccontare presto, ma speriamo di non raccontare mai. Intanto i migranti continuano a correre e a evadere e noi dobbiamo correre insieme a loro contro lo sfruttamento, contro la precarietà, contro la violenza del capitalismo, per la libertà di circolazione. Perché il mediterraneo è in Africa, a Campochiaro, a Manduria, nel Nord-Europa e nelle Banlieues parigine.
Leggi l’articolo di Michele Mignogna, che è riuscito ad entrare nel campo: http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=8310
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infatti. soprattutto, è un modo per risolvere la cosa. Adesso, infatti, ci sarebbe il problema di dover esaminare una serie di richieste di asilo politico e sarebbe difficile non concedere l’asilo, almeno ai migranti provenienti dalla tunisia-libia-egitto. Il permesso di soggiorno temporaneo, invece, permette di mettere una toppa fino a che, alla sua scadenza, saranno tutti clandestini e come tali si potrà procedere alle “normali” procedure di criminalizzazione alle quali siamo abituati.
voglio solo aggiungere che la cosiddetta emergenza clandestini non sta tanto nei numeri, che non credo siano esageratamente alti (o comunque non si tratta di quella invasione biblica alla quale ci hanno terroristicamente preparati), l’emergenza sta nel fatto che i migranti nord africani scappano da rivoluzioni che l’occidente ha appoggiato strumentalmente e da guerre che abbiamo incoraggiato e preparato e che stiamo combattendo. Dunque risulta difficile lavarsi le mani dei continui sbarchi, e il permesso di soggiorno temporaneo è un modo di facciata per non riconoscere la responsabilità di quello che sta succedendo in nord-africa
Hai ragione, non possiamo rallegrarci troppo né cantare vittoria. Anche perché la misura del permesso di soggiorno provv. è estremamente emergenziale e in più è iper-selettiva: se non sei del Nord Africa, ti saluto.
Ottimo articolo, comunque.