Una prostituta trans beccata a Campobasso! E la stampa molisana gongola

Venerdì scorso, per le strade di Campobasso, da tutte le edicole le civette dei giornali locali annunciavano trionfalmente la chiusura di una “casa a luci rosse” dove, per di più, a esercitare la prostituzione era una trans.L’articolo del Quotidiano del Molise è infarcito di pruriginosa ironia e corredato da foto che ritraggono “alcuni particolari della camera dove la brasiliana riceveva i clienti” (fazzoletti di carta, preservativi, sigarette, qualcosa che assomiglia a un dildo… incredibile!)

La donna è stata denunciata “per aver aperto una casa di prostituzione”. E’ il caso di ricordare che lo spirito degli articoli della legge Merlin che le forze dell’ordine italiane applicano con troppo zelo era quello di chiudere le case di tolleranza, che erano cosa ben diversa da un appartamento privato dove una persona adulta e consenziente elargisce prestazioni sessuali in cambio di denaro.

Non è la pubblica decenza che ci interessa, e faremmo volentieri a meno dell’ambigua ironia, a metà fra presa di distanza e attrazione semimorbosa, che questa nostra società sessuofoba riserva alle persone  alle persone trans, alle persone che si prostituiscono, e in misura elevata al quadrato alle persone trans che si prostituiscono.

La realtà è che tutte e tutti noi, nel capitalismo postfordista, siamo costretti a “vendere” qualcosa di noi: prima di tutto il nostro tempo, e poi a seconda dei casi le nostre mani, le nostre braccia, la nostra capacità di lavoro domestico e di cura, la nostra creatività, le prestazioni del nostro cervello,  le nostre capaità relazionali, la nostra “bella presenza”, le nostre unghie laccate, i nostri capelli sempre in ordine, le nostre scarpe col tacco, la nostra “femminilità” e i sogni che essa suscita.

In tutto ciò c’è chi vende le proprie prestazioni sessuali: molti e molte lo fanno in regime di semi-schiavitù, ma non poche lo fanno autonomamente (e alcune si sono anche organizzate per rivendicare i propri diritti).

Se non uso l’espressione “libera scelta”, è perchè praticamente nessuno, in questa società, sceglie “liberamente” di lavorare, nè che lavoro fare.

Qualcuno/a ha un maggior numero di alternative, qualcuno/a nè ha meno, e le persone transessuali, se visibili, sicuramente ne hanno meno di chi mette “correttamente” in scena la maschera che la società gli ha assegnato in base alla forma dei suoi genitali alla nascita.

Per disintossicarvi dal tedio della stampa locale, vi consiglio di fare un giro sul sito del comitato dei diritti civili delle prostitute, o sul sito del Mit.