Paese bizzarro, la Francia, in cui studenti quindicenni o ventenni si mobilitano in massa per una questione che potrà riguardarli direttamente solo tra più di una quarantina d’anni. “La retraite c’est notre affaire!” sottolineano i volantini dei sindacati studenteschi. Ad oggi, più di 30 università su 83 e 600 licei in tutto il paese sono mobilitati, secondo i dati dei sindacati studenteschi. Secondo un sondaggio riferito da Le Monde, il 73% dei giovani sostiene la mobilitazione contro la riforma delle pensioni.
Una mobilitazione dei giovani è proprio quello che il governo temeva: pare che Sarkozy abbia dichiarato che “Bisogna ad ogni costo evitare una mobilitazione dei giovani perchè per un governo, non c’è niente di peggio che un’unione tra il sociale e il mondo dell’educazione: occorre sorvegliarli come il latte sul fuoco”.
Perché gli studenti e i giovani si mobilitano per le pensioni?
Si tratta di una reazione all’incertezza sul proprio futuro e alla prospettiva di un lavoro che, se ci sarà, sarà precario e senza diritti. Di fronte ad una riforma che secondo il governo avviene in nome dei giovani, i giovani vogliono rifiutare di servire da alibi ad una legge che li penalizza due volte. La prima volta, con la perdita di 1 milione di possibili posti di lavoro dovuta all’allungamento del periodo lavorativo. La seconda, perché l’allungamento del periodo di studi (in media fino a 26-27 anni) e gli effetti della crisi ritardano l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro e di conseguenza, stando alla legge in discussione, l’età di accesso alla pensione. La precarietà lavorativa e di vita è il nodo centrale della questione, per i giovani: con lavori precari e malpagati, è già difficile pagarsi la pensione, senza che una legge intervenga per modificare le modalità di contribuzione e l’età di accesso alla pensione.
Le organizzazioni studentesche ci tengono a spostare il problema dalle pensioni al lavoro: se 100.000 posti di lavoro stabile creati corrispondono a 2 miliardi di contributi in più, ci si chiede perché il governo pretenda di risolvere il problema delle pensioni senza neanche porsi quello dei posti di lavoro. E la risposta la conosciamo bene, in Italia come in Francia: il sistema capitalista preferisce mantenere milioni di lavoratori nella precarietà, nell’incertezza, in una condizione di continuo sgretolamento dei loro diritti.
Gli studenti sottolineano di essere la generazione che paga e pagherà le pensioni; ad esempio, fa riflettere il dato secondo cui un anno di studi supplementari aumenta la produttività dell’8%. In cambio di ciò, le nuove generazioni si vedono negare diritti di cui i propri padri hanno goduto e vedono allontanarsi non solo l’accesso ad un posto di lavoro fisso, ma anche a una pensione decente e prima del 67 anni.
Ma la seconda cosa sorprendente agli occhi di un’italiana che vive da un mese in Francia è la costanza e la determinazione di lavoratori e studenti, che, con i sindacati in prima fila, da tre settimane si mobilitano non solo con scioperi e cortei a ripetizione, ma anche con azioni di blocco di depositi di carburante e raffinerie, stazioni (l’ultima quella di Bordeaux oggi pomeriggio), aereoporti (quello di Toulouse nei giorni scorsi), capolinea degli autobus (da una settimana a Toulouse non si è mai sicuri se l’autobus passerà), imprese, università e licei. Non uno sciopero o due per autunno, giusto per far vedere che i sindacati esistono, come purtroppo capita spesso in Italia. Uno sciopero ad oltranza, fino al ritiro della riforma. Qui hai davvero l’impressione che le mobilitazioni non finiranno fino a che non cambierà qualcosa. E che quello delle pensioni sia un problema percepito da tutta la società, dagli studenti dei licei, agli universitari, ai lavoratori, dai giovani ai vecchi.
Cronaca da Toulouse 2 – Le Mirail
Martedì 19 il campus dell’Università è stato occupato e tutte le attività didattiche sono state bloccate in seguito alla decisione dell’assemblea generale degli studenti, per permettere agli studenti di partecipare alle mobilitazioni senza dover perdere i corsi ed essere quindi penalizzati (i corsi sono a presenza obbligatoria o comunque necessaria per poter sostenere l’esame). La direzione dell’università ha risposto con la decisione di chiudere amministrativamente il campus per due giorni, decisione molto discussa e interpretata come un tentativo di impedire la comunicazione tra gli studenti e la loro sensibilizzazione da parte dei manifestanti. Giovedì 21 si è tenuta una seconda assemblea generale, molto partecipata e ben organizzata, con decine e decine di interventi e diverse proposte sull’organizzazione e le prospettive della lotta; dagli interventi si percepiva che se è unanime la contrarietà alla riforma delle pensioni, ci sono dubbi sull’utilità del blocco delle attività didattiche. Alcuni hanno sottolineato che il blocco dell’università penalizza soprattutto gli studenti stessi e non è utile quanto il blocco di un’attività economica, come quella della vendita di carburante. A favore di questa forma di protesta, altri hanno sostenuto che permette agli studenti di partecipare alla mobilitazione senza essere penalizzati. C’è da dire su questo punto che la direzione dell’università aveva comunicato, nei giorni precedenti, che gli assenti a lezione non sarebbero stati penalizzati, cosa chiesta anche ieri dal CEVU, il consiglio degli studi e della vita universitaria (traduzione approssimativa), “garante della libertà politica e sindacale degli studenti”. L’assemblea è terminata con il voto favorevole a continuare la mobilitazione e la decisione di bloccare i corsi solo nei giorni di manifestazioni. In realtà però, da domani iniziano le vacanze di Ognissanti e i corsi saranno sospesi fino al 2 novembre, quindi fino a quella data tale decisione rimarrà sostanzialmente inapplicabile e per quel giorno stesso è prevista una nuova assemblea.
Oggi, il campus ha riaperto le porte ma gran parte delle attività non è stata comunque effettuata.
Laura Acquistapace
Complimenti! A mio modesto parere sei stata l’unica che ha colto e restituito la chiave di lettura corretta. è tutta compressa e liquidata nelle prime sei righe.
unico appunto, non credo che la Francia sia un paese bizzarro (anche se visto da qui può sembrarlo) credo sia un paese libero, magari con un popolo eccentrico, ma proprio perché libero.
Essendo un commento ad un tuo articolo non mi attarderò a giustificare perché un popolo libero si sente “proprietario” del proprio paese e “responsabile” del suo destino (del paese), ma ciò potrebbe spiegare quella partecipazione “bizzarra” per noi italiani.