Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Da Jacopo Di Donato membro del collettivo LGBTQI “A Testa AltRa”
OK, lo ammetto. Infervorarsi per parlare di politica in chat su Facebook è triste.
Però bisogna anche ammettere che quando senti qualcuno dire delle boiate terrificanti, non puoi invitarlo per un caffè da Lupacchioli e poi, tra una bustina di zucchero di canna e un bicchiere di acqua frizzante, urlargli contro che non sa neanche di cosa sta parlando.
Va bene, metto ordine a quello che sto scrivendo random.
Mi è successo di ragionare (se così si può dire) in chat su Facebook con una persona che vuole fondare Arcigay in Molise, dopo aver partecipato alla serata gay-friendly di Termoli, il 5 Gennaio.
Alla sua domanda sul perché io non avessi partecipato alla serata, gli ho risposto, in tutta franchezza – e anche con toni molto più colloquiali e diretti di questi – che la società LGBTQI dovrebbe essere rappresentata in modo diverso da frotte di assatanati che vanno in discoteca per trovare del sesso facile: servirebbe sensibilizzazione, analisi politica, apertura alla popolazione. Invece qual è stata la prima mossa di Arcigay? Rinchiudere tutti in un locale, facendo ancora una volta di questa rivendicazione una lotta autoreferenziale, dando l’ennesimo alibi a quelli che poi sproloquiano sulla presunta “lobby omosessuale”.
Dopo tutto ciò, è arrivata la consapevolezza che questa persona non sapesse neanche di cosa stesse parlando. Leggo “Sbagli, perché l’Arcigay è apolitico, non so se lo sai”.
Ora, dopo due anni e (quasi) mezzo a spiegare a tutti la differenza tra i termini “apolitico” e “apartitico”, con i capelli che mi si rizzavano in testa, di buona lena gli ho spiegato che Arcigay è dichiaratamente “apartitica”. Cosa sulla quale non mi trovo neanche particolarmente d’accordo, dato che ultimamente Arcigay sembra la succursale LGBTQI del Partito Democratico.
Com’è finita la discussione? Con lui che mi fa “continua a stare per fatti tuoi”, come se A Testa AltRa, collettivo LGBTQI del quale faccio parte (e che si impegna su un fronte decisamente diverso), fosse “fatti miei”, un semplice capriccio di uno che, se non sta con Arcigay, è destinato a non contare nulla.
Se questa è la gente che deve portare avanti il movimento LGBTQI, allora preferisco stare per “fatti miei”.
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