Mercato coperto, arcano scoperto. PARTE I: Come i palazzinari si appropriano degli spazi sociali

 

In questi tempi in cui si stanno ridefinendo molti aspetti del vivere civile in tutto l’Occidente, in particolare per ciò che riguarda la disponibilità alimentari (= accordi commerciali), andare a vedere come una parte della società campobassana si rapporta con il proprio territorio attraverso i consumi, spero possa essere utile a un qualche dibattito riguardo la sovranità alimentare e la situazione delle gestione delle risorse.

Così parlare del mercato coperto di Via Monforte potrebbe essere un primo passo verso una riflessione collettiva riguardo il cibo.

Inoltre la vicenda compobassana risulta emblematica sia in considerazione della centralità che il capoluogo ha nei confronti di tutta la regione, sia perché le vicende di quel luogo sono rappresentative del passaggio epocale che l’intero occidente compie.

A livello burocratico, l’offensiva sembra essere giunta ad uno stallo dovuto all’inerzia, alla non-amministrazione, dell’amministrazione comunale. Ciò alla morte dell’imprenditore campobassano Di Biase, quando il project financing in corso si è arrestato e oggi, praticamente, non vi è nessun progetto relativo a questo spazio sociale.

Per questo è l’ora di agire e intraprendere la strada della rottura con l’ideologia dominante di cui tutti siamo partecipi.

 

Tempo addietro, il Mercato Coperto fu oggetto delle “attenzioni” del palazzinaro Di Biase, che, da monopolista delle costruzioni pubbliche quale era, aveva inserito il luogo mercato nel più ampio progetto della “Città nella Città”. Tale progetto, oltre al mercato appunto, comprendeva l’area dell’ex Romagnoli, estendendosi lungo il Corso sino ad arrivare al fiume Tappino. Il glorioso stadio del Grande Campobasso doveva accogliere (e probabilmente il progetto è ancora attivabile) il polo amministrativo della Giunta regionale, con gli annessi servizi e quindi relativi locali (le stanze per ciascun gruppo consiliare, i parcheggi, l’immancabile punto ristoro).

Per ciò che riguarda il mercato coperto la sentenza invece diceva condanna, per far spazio alla costruzione di un centro commerciale, con annesso cinema multi-sala. Come dire, sostituiamo la genuinità della vendita diretta dei contadini, la sostenibilità ambientale e sociale di una tale economia, con gli incubi di plastica della grande distribuzione petroliocentrica. Il progetto della “Città nella Città”, non può essere certo condannabile di per sé, in quanto ispirato ad una riqualificazione di talune aree della città, altrimenti destinate alla decadenza. Il dubbio si insinua considerando ad esempio la vicenda di piazza Pepe (http://tratturi.noblogs.org/2012/02/29/camera-con-vista-appartamenti-di-lusso-a-piazza-pepe/). Oppure gli esiti dei project financing che sino ad oggi sono stati portati avanti nelle regioni limitrofe, come l’Abruzzo o la Puglia, e infine, dando un occhi al bilancio comunale del nostro capoluogo. In altre parole, è necessario riflettere con molta attenzione sulle trame che sorreggono le politiche urbanistiche della regione e sui gruppi di potere che se ne fanno promotori. Infatti, accanto alla doverosa quanto sicuramente di ottimo esito restaurazione di alcuni angoli della città, era prevista una insensata cementificazione, ad esempio nella zona prospicente il terminal degli autobus, come se già non fosse stata abbastanza violentata dalla disordinata espansione del polo universitario dell’Unimol.

Per ciò che riguarda il mercato, fortunatamente immediata fu la risposta dell’opinione pubblica che sfociò nella costituzione di un comitato, il Comitato Città Sveglia, con l’obbiettivo di contrastare lo snaturamento di quello spazio. In un sol giorno furono raccolte oltre 400 firme contro la chiusura e in totale, in pochi giorni, si arrivò alla ragguardevole cifra di 4000.

L’ordinanza che doveva fare da cavallo di Troia, insinuandosi mellifluamente tra le cassette della frutta di stagione e il pesce fresco, prevedeva che ciascun commerciante titolare di un banco, non potesse cedere la propria licenza, cosicché, una volta serrato, il suo posto non sarebbe potuto essere più occupato da nessun altro. Una lenta agonia, fino alla definitiva chiusura, in modo che (e qui la malafede della politica locale) non si scatenasse nessun polverone a riguardo. L’ennesima riproposizione della teoria della rana bollita.

Per fortuna il senso civico di alcuni smascherò questi giochetti e la risposta dei diretti interessati, sia dei venditori quanto dei consumatori, non tardò. Poi la sorte intervenne richiamando l’anima del Di Biase lontano dalle vicende terrene e siamo alla situazione odierna.

Il mercato è oggi in pericolo per gli appetiti dei costruttori, che vedono in esso l’opportunità di perseverare il pluridecennale drenaggio di soldi pubblici a loro favore. Molti tra loro farebbero carte false alla Regione (!) per accaparrarsi l’esclusiva di costruire nel pieno centro della città. Ma per fare ciò hanno bisogno di quelle ipocrite forze politiche conservatrici di destra e di centrosinistra, le quali vedono in questa fondamentale questione l’opportunità per deviare il malcontento popolare nei confronti delle politiche nazionali e sovranazionali (alle quali quelle regionali e cittadine necessariamente si conformano), verso una contestazione autoreferenziale.  Apparentemente, questa potrebbe sembrare una denuncia esagerata, infondata, malfidata. Ma l’esperienza -e un po’ di quel pessimismo dell’analisi che spero ci contraddistingua- mi porta alla totale sfiducia nei confronti di chi, da anni, grazie al grandissimo potere mediatico accumulato ed al più preoccupante ascendente sociale (derivante dal sistema clientelare che caratterizza le vicende del “pubblico”  non solo a Campobasso) ha cavalcato qualsiasi manifestazione di indignazione dell’opinione pubblica, ripiegandola, con promesse e occhiolini (e qualche calcetto qua e là), a vuoti vespai polemici d’interesse per pochi, dal quale, infine, il risultato politico è un ritorno d’immagine per il capobastone di turno.

Sono sicuro che non sarà così questa volta, ma per non prestare il fianco è necessario non cadere nei tranelli della concertazione, del mettiamoci d’accordo.

 In altre parole, la sincera protesta dei più vari oppositori alle miriadi di storture e contraddizioni che il sistema sociale ha insite in sé, risulta sempre funzionale al mantenimento della struttura stessa, alla permanenza dello status quo, se quelle proteste non mettono in discussione le determinanti degli eventi, se non prospettano un cambiamento reale dello state di cose del mondo.

Insomma,  se non si opera una sintesi politica degli eventi che ci travolgono di giorno in giorno, se, nel caso del mercato coperto, non si cerca di superare l’approccio miope di una sua plausibile continuità esclusivamente in virtù di una mera utilità economica senza porsi minimamente il problema del significato di operare una tale scelta, senza considerare il perché la vendita diretta dei prodotti ortofrutticoli deve essere definitivamente bandita (a Campobasso e ovunque), senza relazionare tale evento ai cambiamenti istituzionali che ci stanno imponendo, se non si propone fattivamente qualche azione che segni il possibile inizio di un qualche processo di presa di coscienza dei differenti  attori economici e sociali della realtà molisana, temo che qualsiasi polemica riguardo il mercato coperto resterà utile ai costruttori per continuare a costruire con materiali scadenti, tecniche desuete, in disprezzo delle vite degli operai, in luoghi non adatti (la situazione molisana delle scuole e le vicende che tristemente l’hanno caratterizzata bastano come esempio) e ai politici stessi, grazie anche al conseguente immorale scambio di favori, non ultimo elettorali, a mantenere la poltrona necessaria a tenere la quadra di questa situazione (e i figli all’università private di Roma o Milano).

E noi cittadini?

O, a testa bassa, accetteremo ancora una volta il ruolo di schiavi, carne da macello, mesti burattini, automi che si rifiutano di esercitare la più alta delle capacità umane, ossia la capacità progettuale collettiva…oppure a testa alta, migreremo maledicendo quella terra (e chi vi rimane) dove, alla fine, non cambia mai niente perché i pochi che hanno coscienza della situazione hanno tutto l’interesse a far credere ai più che è meglio per tutti che il mondo sia lasciato come si trova!!!