Mercato coperto, arcano scoperto. Parte II: La nostra risposta #occupymercatocoperto

Qualche giorno fa ci eravamo lasciati con la questione tutto sommato in sospeso, adducendo motivazioni piuttosto improntate alla difensiva. Motivazioni di resistenza e di denuncia di uno stato di cose il cui pestilenziale odore di marcio ormai è insopportabile. Tale situazione, come detto in chiusura d’articolo, vede due possibili vie di sbocco. O il perpetuarsi della stessa, al prezzo di perseverare nel processo di polarizzazione della ricchezza e conseguentemente del potere, a cui necessariamente fa da contorno la distruzione del territorio, oppure l’affermarsi di una idea di una possibile rottura con tutto questo schifo. Idea che deve farsi necessariamente atto se non vuole restare nell’ambito del probabile.

Ma per fare ciò è necessario fare un passo indietro, rispondendo alla semplice ma per nulla scontata domanda: qual’ è l’importanza di tenere in vita il mercato coperto?

Alla luce dei volumi di scambi che si registrano, nessuna. Infatti negli ultimi anni, con lo spuntare dei mega centri commerciali nelle periferie e il proliferare di punti vendita delle più importanti (e le più finanziarizzate) catene di supermercati europei, il luogo mercato ha perso notevole rilevanza sociale, cosa che si riflette in una piuttosto marcata anzianità della sua scarsa utenza (come a dire che non è giovane e di tendenza mangiare le cose non imballate, ops! Confezionate) e degli stessi venditori.

Le proposte per salvarlo si muovono tutte verso una conversione ad un tipo di mercato “per turisti”, che offra le tipicità della nostra terra, magari raccolte in un paniere, a chi d’estate o durante le ferie invernali arriva, carica la macchina e va via. Questo però, è solamente un palliativo, che va a rappresentare un estremo tentativo di tenere aperto il luogo mercato “in ogni caso”, senza andare ad indagare analizzare e comprendere le dinamiche che l’hanno portando al declino.

Infatti il declino del modello della vendita diretta è stato l’esito dell’imposizione dell’ideologia dello sviluppo alle nostre società, qualunque fosse il colore politico del regime al potere (socialista o capitalista), che ha sempre considerato i contadini alla stregua di vestigia del passato, di cui limitare il numero, da trasformare in coltivatori agricoli o a cui insegnare a “modernizzarsi” (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/L-agricoltura-dimenticata-13545) . L’educazione alla modernità è stata nominata “Rivoluzione Verde” ed ha significato: l’utilizzo di macchinari votati alla massimizzazione delle produzioni annue al posto dell’agricoltura integrata alla zootecnia; l’adeguamento delle tecniche colturali al razionalismo in luogo dei millenari ritmi ereditati dall’esperienze degli agricoltori del luogo; il necessario uso di inputs sintetici anziché il rispetto dei cicli ambientali locali.

Vale a dire che l’agricoltura non è stata più considerata l’attività “primaria”, quella che fornisce i semilavorati i quali saranno poi raffinati dall’attività secondaria, cioè l’industria. Bensì essa, tanto nel comune sentire, quanto nelle scelte politiche di chi democraticamente o meno occupa i luoghi di potere, è diventata un modo antiquato di rapportarsi all’ambiente, per questo si è passati ad esempio ad avere materiali tessili derivati dal petrolio (di qualità estremamente minore con un impatto ambientale non paragonabile a quelle naturali), combustili fossili, medicinali di sintesi. E perciò si è considerato morale, giusto, ovvio e auspicabile alterare i millenari equilibri ambientali, andando a depredare le risorse dei territori.

Per questa strada l’agricoltore è diventato una figura quasi superflua nel sistema economico ed a ciò è corrisposto un elevato grado di esclusione sociale. Lo sviluppo agricolo ha prodotto la povertà nelle campagne: le persone si sono trovate senza lavoro, mercato e cibo. È in questo modo che nel mondo i due terzi delle persone che soffrono la fame sono contadini. Sarebbe sensato che si potessero nutrire della loro produzione. Ma le risposte vanno in senso inverso. Il meccanismo si ripete, e le crisi non servono certo a mettere davvero in discussione il modello egemone. Le proposte avanzate suggeriscono infatti di fornire “sementi ad alto rendimento” e fertilizzanti chimici, di aumentare le colture destinate all’esportazione, di “insegnare ai contadini” una migliore gestione, di consentirgli l’accesso al mercato mondiale, etc. (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Il-ritorno-dei-contadini.-Parla-Vitoria-Silvia-Perez-13554). In altre parole di aumentare il grado di dipendenza dal sistema, rappresentato dai debiti necessari a “stare sul mercato” e per questa strada alimentare il processo di spoliazione che le lobby (i monopoli, i gruppi di potere, i padroni…chiamateli come volete), stanno operando.

Dunque è per questo che il mercato coperto diventa tanto importante. Perché solamente per via di una rifunzionalizzazione di un tale spazio si potrà fattivamente invertire il processo di degrado sociale conseguente alla distruzione dell’ecosistema.

Il mercato coperto di Campobasso, come la maggior parte dei suoi omologhi e di tutti gli altri luoghi sociali delle nostre città (scuole, cinema, biblioteche, ospedali), rappresenta il modo in cui le differenti comunità si sono organizzate per soddisfare i bisogni comuni. Nello specifico questo, come gli altri sparsi per la città, ha rappresentato per decenni il collegamento funzionale tra la città e la campagna. In esso, i contadini del circondario di Campobasso vendono direttamente i loro prodotti (le loro eccedenze, trattandosi spesso di contadini con esigui appezzamenti di terreno); pur se è tranquillamente possibile trovare prodotti “fuori stagione”, perché ci sono grossisti ed anche un minimarket.

La vendita diretta della frutta e della verdura, del pesce e dell’olio, assicura che il produttore, non sottostando ai ricatti della grande distribuzione, possa applicare i prezzi che gli permettono di mantenere una produzione adeguata e un’esistenza degna. In questo modo è possibile garantire redditi giusti, anche se le aziende sono piccole o piccolissime, come lo sono in Molise.

Per questo il mercato può divenire il luogo simbolo di un nuovo patto tra i residenti all’interno dei centri urbani (che rappresentano la quota principale sia dei consumi che dell’elettorato) con i contadini delle campagne circostanti, che sono i custodi dell’ambiente, coloro i quali potrebbero tornare, attraverso la propria attività, a preservarlo adeguatamente, garantendo gli equilibri biologici e geologici che lo compongono e garantendo d’altro canto il sostentamento della popolazione cittadina (oggi non più scontato).

Ma affinché ciò sia possibile, è necessario che gli agricoltori prendano coscienza del proprio ruolo sociale.

Il mondo rurale è sempre stato parte della «strategia degli altri», dai signori feudali al capitalismo industriale e l’agrobusiness. Così ragiona il Movimento dei piccoli agricoltori (Mpa) del Brasile, che ha lanciato un suo Piano Contadino, con il proposito di costruire una propria strategia politica all’interno delle trasformazioni strutturali in corso nel paese. <<Se non hai una strategia tua sarai sempre parte della strategia dell’altro>> dicono. Il Piano Contadino è appunto questo: un progetto politico che implica allo stesso tempo denunciare gli effetti del capitalismo selvaggio in agricoltura, mettere a punto una strategia collettiva e attualizzarla nella lotta politica. Per le élites, la massa rurale è servita storicamente a fornire manodopera a buon mercato per la produzione industriale urbana, oltre a produrre cibo a basso costo, autosfruttandosi, per mantenere bassa l’inflazione. «Le cose non sono cambiate nella sostanza con i governi più recenti: il progetto è sempre che i contadini sopravvivano (quando ci riescono) mentre le città ricevono manodopera» (http://www.ilmanifesto.it/attualita/terra-terra/manip2pz/4fa2879bc1853/)

I piccoli agricoltori, le aziende familiari, i braccianti dovranno essere i costruttori della propria strategia. Ma ciò potrà essere possibile solamente se gli altri, i cittadini, prenderanno a loro volta coscienza del proprio ruolo di consumatori [improduttivi]. Solo in questo modo si potranno gettare le necessarie premesse per un progressivo passaggio da un modo di produrre contronatura, eterodeterminato, ad una economia socialmente efficiente, su tutti i piani: economico, sociale, culturale, storico; e per giunta autodeterminata. Rinunciando alla considerazione che la competitività sia il “motore” delle società, a scapito della solidarietà e della complementarietà.

Insomma, il Mercato Coperto può e deve essere uno strumento attraverso il quale cominciare a sviluppare processi democratici dal basso, che vadano a rompere le logiche dominanti, innestandoli negli attuali processi di decadenza propri della crisi, ma non per proporre come uscire dalla crisi, perché a questo ci sta già pensando il Tiranno Monti, bensì per costruire una strada che permetta l’uscita dal capitalismo oggi in crisi (S.Amin, LA CRISI).

Iniziando dal rapporto che le nostre città, i nostri consumi, le nostre vite, hanno con il territorio nel quale quotidianamente viviamo e perciò portando il piano del dibattito politico sulle risorse, la loro distribuzione e la distribuzione della loro proprietà.

In definitiva, prendere coscienza che l’irreale rappresentazione a cui siamo stati educati non è veritiera, per questa ragione è imprescindibile concepire nuove forme di vivere all’interno della società, rinunciando in tutto e per tutto al ruolo che sino ad oggi abbiamo mestamente ricoperto.

 

Ma come può divenire realtà un tale passaggio a Campobasso?!

Beh, la mia risposta è una, semplice, (e in completa assonanza con le intenzioni dei movimenti #occupy di tutto il mondo)

#OCCUPARE IL MERCATO COPERTO.

Occupare per riappropriarsi simbolicamente di quel pezzo della città.

Occupare per avere finalmente uno spazio dove promuovere nuove relazioni sociali.

Occupare per dare un prospettiva al mondo agricolo molisano.

Occupare per dire BASTA a questo sistema.

Occupare per esistere.

 

Certo non saremo noi soli a barricarci lì dentro. Così come è certo che questo articolo non sarà esso solo a determinare una tale azione.

La questione però è tutta qui.  E’ necessario uscire dalla sterile polemica, quella la lasciamo agli strilloni (grillini,dipietristi,fascisti). Come è necessario iniziare a pensare il modo in cui possiamo riappropriarci di quegli spazi che illegittimamente ci stanno togliendo. Perché sul piano simbolico, solamente da simili gesti può nascere una riflessione collettiva che metta in discussione, definitivamente, il sistema di repressione sociale di cui siamo vittime.

 

L’obiettivo dunque è quello di promuovere azioni volte all’emancipazione della collettività dalle dinamiche che stanno distruggendo il pianeta. A qualunque prezzo.

Altrimenti, mi si dica, cosa vuol dire fare politica oggi?!?

 

 

 

Una risposta a “Mercato coperto, arcano scoperto. Parte II: La nostra risposta #occupymercatocoperto”

  1. A margine consiglio ai lettori di vedere il film di Gabriele Salvatores, SUD.

    vi lascio qui anche il testo della canzone dei 99 posse, Curre Curre Guagliò:

    22-9-1991
    Un giorno come tanti ma non certo per qualcuno
    qualcuno che da giorni mesi anni sta lottando
    contro chi di questo stato na gabbia sta facendo
    reprimendo attento ascolta dico reprimendo
    chi da solo denuncia e combatte sti fetiente
    e sa bene che significa emarginazione
    esattamente quanto costa amare un centro sociale
    Officina 99
    Siente sti parole d’odio e pure d’ammore
    si nu scatta d’e manette strette ai polsi
    dentro a un cellulare guaglio
    fa più rumore nel tuo cuore di un comizio
    elettorale guaglio
    si nu bisogno insoddisfatto sei sicuro
    non ti puoi sbagliare guaglio
    vale cchi e na bella giacca c’o telefonino
    cellulare guaglio guaglio
    allora chisto o mumento e tu l’he a superà
    CA TE PIACE O T’ALLAMIENT E O MUMENT D’OCCUPAAAA!!!!!

    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò

    Si può vivere una vita intera come sbirri di frontiera
    in un paese neutrale, anni persi ad aspettare
    qualcosa qualcuno la sorte o perché no la morte
    ma la tranquillità tanta cura per trovarla
    sì la stabilità un onesto stare a galla
    è di una fragilità guagliò
    è di una fragilità guagliò
    forse un tossico che muore proprio sotto al tuo balcone
    forse un inaspettato aumento d’ ‘o pesone
    forse nu licenziamento in tronco d’ ‘o padrone
    forse na risata ‘nfaccia ‘e nu carabiniere
    non so bene non so dire dove nasca quel calore
    ma so che brucia, arde e freme
    e trasforma la tua vita no tu non lo puoi spiegare
    una sorta di apparente illogicità
    ti fa vivere una vita che per altri è assurdità
    ma tu fai la cosa giusta te l’ha detto quel calore
    ti brucia in petto è odio mosso da amore
    da amore guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò

    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate ma tante mazzate
    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate ma tante mazzate
    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate ma tante mazzate
    Ma tante mazzate pigliate
    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate pigliate
    Tante mazzate ma tante mazzate
    ma una bona l’ammo data
    è nato è nato è nato
    n’atu centro sociale occupato
    n’atu centro sociale occupato
    e mò c’ ‘o cazzo ce cacciate
    è nato è nato è nato
    n’atu centro sociale occupato
    n’atu centro sociale occupato
    e mò c’ ‘o cazzo ce cacciate
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò
    Curre curre guagliò

    Why, don’t know why feeling saw say
    I don’t know why feeling saw say
    Can you feel…
    Get up stand up stand I feel you right
    Get up stand up come the to fight

    Pecché primma mettite ‘e bombe e po’ ‘o vulite a me
    e me mettite ‘e mane ‘ncuollo si ve chied’ ‘o pecché
    mammà ‘e guardie a casa s’avette ‘a veré
    e nu spazio popolare nun è buono pecché
    pecché è controculturale o magari pecché
    rompe ‘o cazz’ a troppa gente si ma allora pecché
    tu me può rompere ‘o cazzo e no i’ pure a tte
    me se ‘ntosta ‘a nervatura e ‘o saccio buono pecché
    pecché me so’ rutt’ ‘o cazzo pure sulo ‘e te veré
    figurammece a sentì’ che tiene ‘a ricere a me
    strunzate ‘e quarant’anne ‘e potere pecché
    pecché ‘a gente tene famme e se fa strunzià’ ‘a te
    e tu me manne ‘o celerino ca me sgombera a me
    ma nun basta ‘o manganiello mo’ t’ ‘o dico oi né
    pecché nun me faje cchiù male aggio ‘mparato a caré’
    Curre curre guagliò…

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