[Bologna] Bartleby, una storia infinita

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Due giorni fa DIGOS e Polizia di Stato, probabilmente col consenso dell’amministrazione dell’Ateneo bolognese, hanno chiuso e sequestrato l’Aula Roveri, un’aula della facoltà di lettere occupata di recente dal collettivo Bartleby, con l’obiettivo di proseguire le attività che si svolgevano nella vecchia sede di Via San Petronio Vecchio, sgomberata e murata lo scorso 23 gennaio (della vicenda di Bartleby e altri spazi bolognesi abbiamo già parlato qui).

Nell’esprimere la nostra piena e incondizionata solidarietà, unita all’augurio che a Bologna si occupino mille spazi, compresa la casa del Rettore, del Preside della Scuola di Lettere e di tutto il corpo docenti, condividiamo alcune riflessioni sparse discusse al nostro interno.

Prima di tutto, è tristemente interessante lo scambio epistolare tra l’Università e Bartleby, avvenuto a colpi di lettere aperte pubblicate in homepage del sito della Facoltà (pardon, “Scuola di Lettere e Beni Culturali”). Ecco un paio di link, se volete farvi un’idea del livello cui è stato ridotto il dibattito, dello squallore in cui sta cadendo l’Università di Bologna e del crescendo di accuse a Bartleby, al quale la maggioranza dei docenti si è prestata, che ha preparato ad arte l’ennesimo sgombero.

  • qui la lettera in cui il Presidente della Scuola Marmo equipara gli occupanti a una qualsiasi associazioncina in competizione con le altre per la conquista di un’auletta (dimenticando lo sgombero di pochi giorni prima), e pone come condizione per trattare il solito: “andatevene, poi vediamo”; il tutto condito con toni paternalistici e con un paio di perle come quella a proposito del “Far west” cui sarebbe ridotta l’università a causa, badate bene, non di anni di politiche scellerate di tagli e di mercificazione dei saperi, ma dall’occupazione di un’aula, che turba e compromette irrimediabilmente l’attività dell’università!
  • qui un altro magistrale esempio di narrazione mistificante la realtà: una lettera di docenti, alcuni – finora – presunti “compagni”, e di pezzi grossi vari della Scuola, in cui si parla di intollerabile interruzione dell’attività didattica e di occupazione delle aule usate per fare lezione, solo perché Bartleby è andato ad una lezione del prof. Marmo chiedendo conto del suo operato e leggendo un comunicato, lezione che il professore ha abbandonato per sua scelta prima di iniziare; Bartleby ha risposto così.
  • qui a completare deliziosamente l’operazione delle fanstastiche foto della monnezza che puoi trovare ogni giorno nelle aule universitarie e di cui solo ora i docenti perbenisti sembrano accorgersi, mentre quando gli studenti non trovano posto a sedere alle loro lezioni sospirano rassegnati sostenendo di non poter fare niente!

Questo tipo di reazioni dimostra ancora una volta come delle questioni politiche di studenti che reclamano spazi vengono ridotte a mere questioni di ordine pubblico, legalità e sporcizia. Dopo questo tipo di campagna diffamatoria contro Bartley, l’università ha il coraggio di sostenere di non aver chiesto il sigillo dell’aula e la procura dice di aver agito d’ufficio sulla base delle informazioni date dalla stampa.

Ragionando sull’accaduto, abbiamo fatto tra noi un paio di riflessioni:

  1. Nonostante Bologna e nonostante l’Onda, sembra che il livello medio di conflittualità attiva (la nostra, non quella subita) si sia abbassato: dieci anni fa, nelle università, l’interruzione dei corsi era prassi quotidiana che non era neanche oggetto di discussione. Ora si va a leggere un comunicato durante un corso e lo fanno passare come se Marmo fosse stato picchiato Marmo. Ragionandoci, la questione dell’abbassamento della soglia di conflittualità ammessa si estende anche ad altri settori, ed è preoccupante.
  2. Ci sembra che ogni volta che si accetti di mettersi sul piano della assegnazione, magari teorizzando su un bene comune che quindi è anche nostro, si offra un’arma agli avversari, che prima o poi sapranno utilizzare. Per capirci, un limite dell’articolazione pratica della teoria dei beni comuni è esattamente l’individuazione di un bene, appunto, comune, quindi al di là e al di sopra del quotidiano conflitto di interessi che innerva le società di ogni tempo, anche senza tirare fuori le classi. Nel momento in cui si teorizza l’esistenza di un bene comune, si consente la conseguente teorizzazione da parte avversa di ciò che è veramente ‘bene’ per il ‘comune’ e ciò che non lo é.Pensiamo alla penosa tiritera di Marmo sugli spazi di pubblica utilità che non sono pubblici, su chi dorme nei parcheggi e via sclerando. Sarebbe il caso di riflettere sulla necessità di recuperare e rivendicare l’alterità: non ci prendiamo uno spazio perché è un ‘bene comune’, perché ci facciamo delle iniziative che sono ‘belle e buone per tutti’: ci prendiamo uno spazio perché è un bene ‘nostro’, serve a noi (studenti, precari, disoccupati, migranti, etc etc), è funzionale al nostro interesse di parte e conseguentemente non al vostro (baroni, speculatori, lecchini etc etc); vi sottraiamo uno spazio e ci facciamo quello che vogliamo noi, orgogliosi del fatto che possa non piacervi anzi speranzosi del fatto che non vi piaccia. Perché con questa manica di baroni codardi che hanno eretto l’illegalità a sistema noi non abbiamo niente a che spartire, e ci prendiamo quello che ci va per farci quello che ci piace.

    Chiaramente la questione è ideologica: nella pratica sarebbe stupido rifiutare per principio la concessione. Ma l’impostazione ideologica sull’interesse di parte e non sull’interesse comune è un essenziale strumento a difesa del bene conquistato perché esclude la controparte dalla discussione e dal giudizio su ciò che è buono bello e giusto fare nel luogo xyz. Capiamo la necessità mediatica e di massa di ricordare quante cose interessanti si fanno al Bartleby, ma sempre con la consapevolezza che il posto vale e dev’essere del Bartleby a prescindere da quello che Bartleby decide di farci dentro e dal comune riconoscimento del valore del lavoro, perché questo non ci può mai essere fino in fondo e perché non è nostro interesse perseguirlo.

Infine, segnaliamo la bella inchiesta di zic.it che fornisce una mappatura degli spazi occupati, poi sgomberati e rimasti inutilizzati, per capire che sorte hanno gli edifici “normalizzati”.

Stamattina mi sveglio e occupo, senza portare la giustifica!

qui tutti gli articoli della nostra micro-inchiesta sugli spazi sociali

 

Una risposta a “[Bologna] Bartleby, una storia infinita”

  1. Purtroppo i governi totalitari che questa crisi economica sta generando, hanno paura di chi, come gli studenti, ma anche gli operai in lotta e i disoccupati, pensano con la loro testa e hanno capito che in fondo, questa crisi è una presa per il culo solo dei ceti più deboli.

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