Una battaglia vincente (Ma solo a patto che sia popolare e territoriale)

 

di Maria Giuseppina Fusco*

Il tema del diritto alla salute può essere affrontato da tanti punti di vista: il nostro è semplicemente quello dei cittadini, che la salute considerano un “bene comune”, un diritto dell’individuo e un interesse della collettività, da tutelare e da garantire. La miglior tutela ci sembra un efficace sistema sanitario pubblico. Non penseremmo certo a chiudere cliniche e laboratori di analisi gestiti da privati, ma pensiamo che il Costituente nello scrivere “La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” ipotizzasse un sistema pubblico (e non a caso nello stesso comma dice che la Repubblica “garantisce cure gratuite agli indigenti”). Non dimentichiamo mai che la sanità pubblica, proprio perché è pubblica,  è di tutti i cittadini e deve essere messa in condizione, dai pubblici poteri, di dare risposte valide ed efficaci a tutti i loro bisogni di salute. 

Il privato può collaborare, integrarsi con il pubblico, ma non possiamo permettere che lo annetta e lo annienti. Una è la mission del pubblico, che realizza il dettato costituzionale e, rispondendo ai cittadini e alla loro domanda di salute, tutela un diritto degli individui e un interesse della collettività. Un’altra, ben diversa, è la mission del privato, che risponde, legittimamente, se si tiene entro i limiti costituzionali, alla logica del profitto. Ma non dimentichiamo mai che hanno mission ben distinte. E che entrambi, il pubblico e il privato, vanno tenuti sotto costante e non compiacente controllo democratico, perché la salute è tra i beni comuni uno dei più  deperibili, nonché difficilmente recuperabili, ed è compito delle istituzioni democratiche garantire la qualità dei servizi di cui fruiscono i cittadini. Né dimentichiamo che il privato,  oltre ad obbedire a logiche di profitto, per altro, lo ripeto, ripeto legittime, se obbedisce anche a logiche ispirate ad una determinata visione del mondo e dell’uomo, poniamo ad una religione, e –  nella nostra concreta situazione – alla religione cattolica, si rende indisponibile a rispondere a tutti i bisogni di salute: penso, ma è solo per fare esempi concreti, a quelli riferibili alla legge 194 e alla legge 40. Ma penso anche ad Eluana Englaro e a quel punto dell’art. 32 in cui i padri costituenti ci dicono che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario” e che non si possono “in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Sul tema della salute la nostra associazione, nata esattamente un anno fa, ha già organizzato incontri e iniziative, dalla primavera dello scorso anno. Abbiamo sempre privilegiato, nel mare magnum dei possibili temi e approfondimenti relativi alla tutela della salute, focalizzare la nostra attenzione sulla prevenzione primaria, che abbiamo collegato in primis all’integrità del territorio. Così ci è capitato di mettere in luce il dramma dei veleni sversati su terreni agricoli nel Basso Molise e fatalmente destinati ad entrare nella nostra catena alimentare e quello degli inceneritori che producono diossina di cui a Venafro è stata rilevata la presenza nella carne di vitello. Così ci è capitato di scoprire che la nostra regione è percorsa in lungo e in largo dalla manovalanza delle mafie dei rifiuti tossici, che stante la carenza di controlli fa i propri comodi in Contado di Molise. Dalla prevenzione primaria siamo passati al tema dell’assistenza distrettuale, della quale abbiamo rilevato l’assenza pressoché totale e da questa abbiamo cominciato ad occuparci dell’assistenza ospedaliera, per prendere coscienza che tutti i problemi di salute, fatto salvo il sottile filtro esercitato dai medici di base, finiscono lì: negli Ospedali. La sanità regionale è sempre stata ospedalocentrica. Questo è il motivo per cui, con una modesta popolazione di circa  320.000 abitanti – meno di un quartiere di Roma, come si suol dire, assolutamente privo di interesse per i politici di livello nazionale–  fino allo scorso anno abbiamo ‘goduto’ della permanenza sul nostro minuscolo territorio di ben sei strutture ospedaliere pubbliche, di due grandi strutture ospedaliere private, accreditate e ovviamente pagate per specialistica di alta qualità, nonché di un altro paio di cliniche private, di un piccolo istituto di riabilitazione (fallito tre mesi fa) e di numerosi laboratori di analisi, radiologia ecc., fitti soprattutto nelle città. Ma una sanità che punta tutto sugli ospedali è  costosissima. Perciò, anche al di là degli sprechi, dell’inveterata lottizzazione dei partiti, del clientelismo che produce duplicazioni di strutture per creare primariati ecc, si è aperta una vera e propria voragine debitoria. Un deficit che appare insanabile. Dal  2007 la nostra Regione è tra quelle soggette a piano di rientro, per l’enormità del debito accumulato proprio nel bilancio sanitario. E si comincia a ‘tagliare’ in profondità. I tagli periferici non bastano più. Al cuore puntano ormai le forbici del nostro decisore politico: e il cuore è l’Ospedale regionale, il Cardarelli di Campobasso.

Qualche settimana fa, già avviata la mobilitazione per la salvaguardia del Cardarelli e della sanità pubblica, ho distribuito un volantino in cui tra l’altro si rimarcava che l’operazione, cosiddetta di “integrazione”, ma in sostanza di “devoluzione” al privato di beni e servizi pubblici, presente nel piano sanitario regionale [1], di cui è già iniziata la discussione, e anticipata in una Bozza di progetto [2] –   di cui l’opinione pubblica era stata tenuta all’oscuro ma che era ben nota ai nostri rappresentanti politici –   avrebbe implicato ulteriore sperpero di denaro pubblico e, al tempo stesso, grave perdita di ulteriori posti di lavoro nelle due strutture, sia la pubblica sia la privata, e nell’indotto. Tutte cose ben note ai nostri rappresentanti politici di qualsivoglia colore.

La caccia al tesoro (pubblico)

L’espressione “ulteriore sperpero di denaro pubblico”, va articolata:  già ora i costi del privato sono decisamente superiori a quelli del pubblico: a parità di prestazione, sulla base delle convenzioni stipulate quando la Cattolica mise piede nella nostra regione, almeno un 20% in più, in regime ancora di “concorrenza”. Possiamo immaginare quel che accadrebbe se il pubblico fosse ingoiato dal privato e non ci fosse alternativa. Il dispendio enorme collegato al privato ha una prova inoppugnabile nella lievitazione del debito che la Regione Molise ha accumulato nei confronti della Cattolica, la struttura privata che fino all’estate scorsa ha tenuto l’omonimo presidio: circa 100 milioni, che la Regione non riesce a pagare. La situazione è anche in questo caso ben nota a tutti i nostri rappresentanti politici: qualcuno è anche intervenuto sulla stampa locale, lanciando acuti lamenti a tutela degli interessi privati. Ora il fatto è che la Cattolica non c’è più. Se n’è andata, accompagnata da un totale silenzio: i molisani  non se ne sono neanche accorti, a dire il vero, ma comunque nessuno dei nostri politici ha richiamato l’attenzione dei cittadini sulla dipartita della Cattolica. La quale comunque resta proprietaria dei terreni che gentilmente le furono donati dai decisori politici di quei tempi lontani, entusiasticamente anche se non del tutto ingenuamente grati – secondo un tratto antropologico molisano indelebile! – del suo approdo nel Contado di Molise. E resta proprietaria degli edifici, dei beni immobili, che su quei terreni ha costruito e sta tuttora costruendo, anche con il sostegno del denaro pubblico. Resta proprietaria, ma di fatto, per quanto attiene all’erogazione di servizi sanitari, non c’è più. Al posto della Cattolica  oggi c’è  una clinica privata, gestita da una Fondazione, alla cui nascita la Cattolica ha contribuito, affidandole tra l’altro i beni mobili, cioè la strumentazione e le attrezzature ospedaliere. Si tratta di un ente di diritto privato costituito da soggetti privati, che persegue legittimamente finalità private ed aspira, com’è nella logica del privato, ad accreditamenti e finanziamenti pubblici: perciò quando i decisori politici hanno cominciato a parlare di integrazione, abbiamo preteso che scoprissero le loro carte, e una volta scoperte le carte, si è capito con chiarezza che in realtà puntano, a scomputo forse – ma si illudono! – dei precedenti debiti, ad inglobare buona parte del  Cardarelli nel soggetto privato. Da tale operazione il soggetto privato vuole ricavare  finanziamenti senza limiti di spesa e con costi ovviamente destinati a lievitare all’infinito e vuole l’autorizzazione ad operare non solo e/o non tanto nella dispendiosa specialistica ( in nome della quale la Cattolica approdò trionfalmente nel Molise per riempire dei vuoti, che c’erano, ma varrebbe la pena di chiedersi perché ci fossero) quanto piuttosto in tutta la sanità ospedaliera in cui non ci sono vuoti, a meno che non vengano creati a bella posta, con una precisa politica di tagli mirati ( anzi ci sono stati fino a poco tempo fa duplicazioni e triplicazioni di primariati e di servizi creati dalla fertile fantasia clientelare dei nostri decisori politici ).  Quindi non di integrazione si tratta ma di una vera e propria annessione, di una fusione, in cui il pubblico è destinato in tutto o in parte a perdere la sua autonomia e a sparire ingoiato da un privato onnivoro e insaziabile. Una storia di cannibalismo? Se lo è, bisogna dire che è stata forse voluta, forse prevista, comunque  propiziata dai nostri decisori politici, di ogni colore e professione di fede, accomunati nella lottizzazione e nella rapina dei beni comuni, siano essi materiali o immateriali.

Che fine faranno i lavoratori della sanità?

Quanto alla perdita di ulteriori posti di lavoro, va rilevato che già non vengono rinnovati molti contratti a t. d., sia nell’ambito sanitario (personale medico, infermieristico ed ausiliario) sia nell’indotto, in particolare quello collegato alle esternalizzazioni. E questo avviene tanto nel pubblico quanto nel privato. È facile immaginare – ma non è fantasia, è previsione razionale fondata sulla storia – cosa avverrebbe domani qualora il presidio pubblico venisse ingoiato da quello privato: per i dipendenti pubblici se a t. i. si metterebbero in opera adeguate lusinghe e condizionamenti, oppure si attenderebbe il pensionamento o, secondo le ben note abitudini, si incentiverebbe il prepensionamento ( seguito, come è facile prevedere, da consolatoria consulenza o lucroso incarico nel privato se non addirittura nello stesso pubblico!), fino ad esaurimento della categoria!; se a t. d. si provvederebbe alla scadenza, ovviamente licenziando i ‘doppioni’. Per il personale a contratto col datore privato, fatta debita eccezione per i grandi nomi e per i fortunati nati col cromosoma della dirigenza, ad es. per qualche pupillo o parente del decisore politico,  si privilegerebbe la flessibilità, che come oggi avviene di norma per i lavoratori a t. d. comporta lavoro straordinario gratuito, orari che sforano fino al raddoppio il turno formalmente previsto, reperibilità non compensate ecc. ecc. Tutte cose, anche queste, ben note ai nostri rappresentanti politici di qualsivoglia colore nonché ai sindacati, che, senza eccezione alcuna, non hanno allertato né lavoratori né cittadini,  convinti come sono che in Molise perdere il lavoro non debba destare preoccupazione alcuna, data la notoria abbondanza di occasioni di lavoro in questa terra. Per i motivi suindicati, per la certezza che abbiamo ormai della connivenza dei politici di ogni colore, siamo convinti che la battaglia per il Cardarelli e per la sanità pubblica  può essere una battaglia vincente solo a patto che sia una battaglia popolare e territoriale.

Fine della ricerca…

Sul versante della ricerca e della specialistica affidata dalla Regione alla Cattolica, Cardiochirurgia e Oncologia chirurgica  e medica, dobbiamo registrare una decadenza progressiva e più di recente un drastico allontanamento dalle promesse di “eccellenza”, in nome delle quali alla famosa istituzione erano stati fatti ponti d’oro e ai suoi piedi erano stati gettati tappeti non di petali di rose, ma di fruscianti miliardi di lire, prima, e di  milioni di euro, poi, attinti a denaro pubblico, e quindi alle tasche dei cittadini. Che fine hanno fatto quelle promesse? Da un anno a questa parte la millantata specialistica ha cominciato a perdere qualche pezzo. Da quando sulle ceneri della Cattolica è nata la Fondazione che ne  eredita (per altro senza credenziali, o almeno non pubbliche, che a ciò la abilitino) accreditamenti e assegnazioni di pubblico denaro, ma punta soprattutto a diventare un ospedale generale, meno eccellente forse, ma di certo più agevolmente redditizio. L’attività di ricerca se mai si è svolta è finita da un pezzo, gli addetti se avevano contratti a t. d. non se li sono visti rinnovare. Lo screening di massa intitolato “Moli-sani” è stato solo un’operazione di facciata, di promozione, di marketing o ha portato ad una raccolta di dati, poi scientificamente sistemati? Se vi sono risultanze scientifiche, perché restano secretate, sterili, fine a se stesse? Perché non confluiscono nella definizione di un quadro epidemiologico sulla cui base il decisore politico possa elaborare un PSR che vada al di là della retorica, delle scopiazzature dai Piani di altre Regioni e delle ampollose proclamazioni di intenti?  E per di più sembra che i gli addetti al progetto, impegnati nell’attività di studio, impostazione, raccolta e sistemazione dei dati, semplicemente non siano stati pagati: da mesi non ricevono il loro stipendio e non sanno come si concluderà il loro rapporto di lavoro. Doveva nascere, a Tappino,  l’Università della Cattolica, pensata come un campus, con studenti da subito immessi nelle corsie, chiamati a cimenti pratici, ma non si è mai fatta, anche perché nel frattempo è nata la facoltà di medicina statale, voluta dal nostro sempiterno decisore politico in connubio con grandi personaggi romani e con l’inamovibile magnifico rettore: una facoltà non adeguatamente sorretta dal sostegno finanziario del MIUR, e – si dice – mantenuta in vita dal nostro benemerito decisore politico con fondi della sanità (anche di qui la voragine debitoria, il deficit sanitario, che poi ci ha presi alla gola e in nome del quale oggi ci vogliono sottrarre presidi sanitari essenziali?),  non collegata organicamente con le strutture ospedaliere  e quindi  fatalmente asfittica e priva di futuro. Ma intanto la Cattolica su un terreno per il quale pagò un prezzo meramente simbolico ha costruito NON la sede universitaria di cui si era parlato, con la consueta megalomania verbale e tendenza al genere fantasy del nostro ceto politico sempre ricco di mirabolanti promesse per il futuro remoto, MA delle ampie e modernissime strutture adatte ad accogliere un ospedale generale: nate, si direbbe!, per ingoiare sano sano un boccone grosso come il nostro Ospedale regionale, con l’aiutino di un procurato allarme su vere o presunte deficienze strutturali dell’edificio in cui è da trenta anni collocato il Cardarelli. Vere o presunte, lo vedremo presto.

… e della specialistica

Ma veniamo alla specialistica e all’eccellenza. Perché francamente ci sono cose che non si capiscono. Quanto al malato oncologico, oggi non può più contare su un percorso terapeutico assistito e protetto,  anzi sconta – più amara, perché travolge promesse e aspettative e tradisce una fiducia che era stata addirittura sollecitata – l’allungarsi delle liste di attesa per le sedute di radioterapia, la solitudine, la perdita di volti che erano divenuti familiari, consapevoli dei suoi problemi, l’incertezza, i turni sfibranti e defatiganti per avere un esame, una visita, un controllo, l’impossibilità di una reale continuità terapeutica. Quanto alla cardiochirurgia, si è aperta una via crucis per il malato: in qualunque punto dell’arcipelago sanità sia approdata la sua barella, viene mandato prima a Isernia, dove all’uopo è stato inserito un pupillo del nostro decisore politico, per la coronarografia,  poi alla ex Cattolica per eventuali altri interventi, poi di nuovo nel suo punto d’approdo per le successive terapie. A chi può sembrare razionale un simile ambaradan? E non si capisce perché un cardiopatico debba compiere tutti questi andirivieni, cosa piuttosto difficile e penosa se come purtroppo è assai probabile si tratta di un single anziano. E non si capisce perché, essendo la ex Cattolica l’unico presidio autorizzato alla cardiochirurgia, non sia stata accreditata per eseguire la coronarografia, esame preliminare all’intervento chirurgico e talora in grado di evitarlo. Il privato è troppo costoso? Ce ne accorgiamo un po’ tardi! E ce ne accorgiamo solo per particolari di cornice,  senza mai riuscire a guardare il cuore dei problemi. Del resto, non c’è al Cardarelli di Campobasso, ospedale di livello regionale, un reparto di cardiologia? O forse tutto dipende dal fatto che il pupillo del nostro decisore politico poteva allungarsi fino ad Isernia, ma non poteva perdere tempo ad arrivare fino a Campobasso? Certo le strade molisane non sono il non plus ultra, ed è dunque meglio che ci ballonzoli sopra un qualunque anonimo cittadino cardiopatico e non un illustre Professore che si degna di allontanarsi, poniamo, da Tor Vergata, per venire ad arrotondare la sua paccata di euro in Contado di Molise. Come non si capisce perché si consideri sufficiente che per due o tre giorni venga un grande nome della cardiochirurgia. Ci può essere bisogno di un intervento sofisticato in qualsiasi momento, anche nel cuore della notte. Non risulta che l’infarto del miocardio sia tanto gentile da consultare l’orologio prima di attaccare. E non si capisce  perché recentemente sia stata sospesa l’emodinamica: è stato interrotto il servizio, che in una cardiochirurgia dovrebbe funzionare h24. Carenze di personale? Ma allora non si capisce perché si debba continuare a parlare di eccellenza! Altro che eccellenza! La furtiva smobilitazione della Cattolica e l’avvento della Fondazione stanno producendo questi effetti. E noi cittadini ce ne accorgiamo nel momento in cui siamo più fragili e soli, cioè se e quando o noi stessi o un familiare si trova nell’immediato bisogno, visto che nessuno dei nostri rappresentanti politici ha chiamato i cittadini non oso dire alla mobilitazione, ma almeno alla conoscenza dei fatti. E che pensano, che stiamo sempre a consultare la spesso penosa stampa locale? O ad istupidirci dietro le performance di Tele Molise o di Tele Regione? Alla ricerca delle loro preziose parole? Ma quando poi si tratta di raccattare voti sono vispi e svegli i nostri rappresentanti politici!

Un piano per distruggere il servizio pubblico

Quanto all’assistenza ospedaliera offerta dai presidi pubblici, abbiamo assistito nell’ultimo anno alla politica delle ‘riconversioni’ inutili:  soffocata dai debiti determinati dalle insensate spese dell’ultimo decennio ispirate da un clientelismo megalomane e senza pudore, oggi al bisogno di salute dei cittadini la Regione non dà che risposte negative, all’insegna di tagli e  soppressioni. Praticamente condannati dal governo regionale all’annientamento o ad una stentata sopravvivenza assistita, previa in qualche caso una rimodulazione che ne snatura la storia e non considera il reale contesto nei suoi bisogni e nelle sue specificità, alcuni presidi periferici: Agnone, Venafro, Larino. E sono tutte strutture pubbliche! E prima di condannarli il nostro esimio decisore politico non ha neanche preso in considerazione di tagliare i rifornimenti alle strutture private, piccole e grandi: tutte sacre, tutte intangibili. Certo il livello delle elargizioni ai privati si è un po’ abbassato, ma i veri tagli, le rasoiate sono state riservate tutte al pubblico. Se per il Vietri di Larino si riapre una possibilità, lo si deve al combattivo Comitato Civico Frentano che si è rivolto al Tar contro i tagli e le soppressioni. Il Tar gli ha dato ragione. E il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza dei giudici amministrativi. La discussione di merito si terrà ad ottobre. Come andrà a finire non è facile prevederlo. Ma quel che abbiamo visto ci dimostra, se mai avessimo ancora bisogno di prove, che il governo regionale punta a distruggere il servizio pubblico: non vuole risanarlo, non pensa a razionalizzarlo. Pensa a liberarsene. Intanto dalle chiusure o ambigue semichiusure degli ospedali periferici  è derivato un intasamento fino  all’inverosimile per Campobasso, Termoli e Isernia. E, di conseguenza, un po’dappertutto  ( ma lo scenario privilegiato della tragedia è in genere il Pronto Soccorso) lamentele per disservizi, sovraffollamento, liste d’attesa all’infinito; dappertutto il dramma di una carenza gravissima di personale. Bloccati concorsi e assunzioni a t. i., a causa del mancato rientro dal deficit e del giudizio negativo del Tavolo Tecnico sui pasticciati piani di rientro sinora presentati dalla pletora di sub commissari approdati in Contado di Molise ad insegnare, a spese nostre, ai governanti locali ad usare correttamente il pallottoliere. Bloccato il turnover, ma non del tutto: si potrebbe infatti dar luogo a concorsi per una sia pur minima percentuale dei posti vacanti (il 10%) se la vacanza dura da un certo numero di anni. Ma il nostro decisore politico non ama particolarmente i concorsi. Preferisce le chiamate dirette, intuitu personae, visto che l’unica cosa di cui si fida è il suo intuito o, meglio, il suo fiuto tarato con più che decennale allenamento nella direzione del clientelismo e del familismo. E poi i disservizi, il lavoro affannato e sempre fatalmente impari, le doglianze e le lamentele che un po’ fanno parte del costume un po’ cominciano a trovare qualche ragion d’essere, le critiche alla qualità degli Ospedali pubblici sono state e sono tutte cose che fanno gioco a chi  ha già deciso di sopprimerli.  Di tutti i mali su indicati ha sofferto anche l’ospedale Cardarelli,  che presenta senza dubbio gravi criticità, causate dalla politica dei tagli, dai numerosi prepensionamenti incentivati,  dalla carenza cronica di personale, dalle esternalizzazioni, dalla decennale incuria politica, dalla confusione e dalla contraddittorietà gestionale. E tuttavia  è comunque da sempre, e rimane tutt’oggi, il maggior centro di riferimento sanitario per tutta la regione, pronto ad intervenire 24 ore su 24 per tutte le patologie.  Il colpo più grave è stato quello del prepensionamento, lautamente incentivato,  di molte figure apicali, in particolare una dozzina di primari… per cui si è subito coniata la colorita  espressione di “rottamazione dei primari”. Molti dei quali,  tutt’altro che stanchi di impegni professionali e tutt’altro che paghi delle pur gratificanti incentivazioni  d’oro, delle liquidazioni  e delle pensioni, hanno subito messo le loro competenze e le loro forze al servizio di strutture private o hanno addirittura trovato lucroso impiego nel quadro delle consulenze di cui è tanto generosa la pubblica amministrazione. Dal breve quadro tracciato emerge in primo piano, e ci ferisce mortalmente, l’assoluta estraneità al senso del “comune” che marchia chi governa la nostra regione: in una fase di gravissima crisi finanziaria ed economica, in nome della quale si attua senza pietà e senza pudore la più grave macelleria sociale che la nostra storia repubblicana ricordi, un massacro di lavoratori e di povera gente che può trovare il suo riferimento solo nella terribile tassa sul macinato di ottocentesca memoria (per cui sentiamo nelle soffitte e nei piani più alti del potere i passi minacciosi del fantasma di Quintino Sella ), chi governa la nostra regione non solo consente, ma addirittura promuove e incentiva con denaro pubblico la sottrazione alla struttura pubblica delle più alte professionalità, ne paga a carissimo prezzo con denaro pubblico l’allontanamento, sapendo perfettamente che il blocco del turnover, oltretutto praticato rigidamente, non gli consentirà di sostituirle,  se non in minima parte e con figure a t. d. , scelte ovviamente intuitu personae, che, senza assolutamente escludere che ne abbiano le capacità, non avranno neanche il tempo materiale di fare squadra, di guadagnarsi la stima e la fattiva e consapevole collaborazione del personale, elemento tutt’altro che secondario nell’efficienza del servizio.

 

La “foglia di fico” dell’integrazione

Si è trattato di una vera e propria decapitazione del Cardarelli, consumata nel giro di pochi mesi, con esiti di grave disorientamento del personale. L’operazione pareva finalizzata ad aprire spazi adeguati ai cattedratici, ai professori universitari che nel frattempo si erano insediati nella facoltà di medicina e che pure aspiravano al loro posto al sole: ad avere cioè almeno due incarichi lucrosi e prestigiosi. Ma di fatto molti vuoti non sono stati riempiti. Forse perché nel frattempo i disegni sono un po’ cambiati, si è aperta una partita un po’ diversa, che richiede un aggiornamento della strategia. Bisogna, è detto nella bozza di PSR, “risolvere le problematiche della Fondazione”. Perciò l’ospedale di Campobasso, l’unico PO di livello regionale, è sotto i colpi oggi di un piano che punta in sostanza a smantellarlo e a smembrarlo sotto la parola d’ordine di “integrazione” con la ex Cattolica. Ma la parola “integrazione” è, come si suol dire, una foglia di fico. Ci sono  attualmente pazienti oncologici, magari anziani, soli, con problemi di spostamento, che pernottano al Cardarelli, per non mancare il mattino seguente la seduta di radioterapia alla ex Cattolica o pazienti che fanno chemio al mattino al Cardarelli e radio il pomeriggio alla ex Cattolica: più integrazione di così! Chi scrive non solo non ha nessuna obiezione di fronte ad un progetto di integrazione tra i distinti soggetti erogatori di servizi, ma ritiene che solo un’integrazione condotta con razionalità e capace di mettere in rete tutti i servizi sia funzionale a dare risposte efficaci e tempestive ai bisogni di salute dei cittadini. Ma per essere messi in rete i servizi pubblici dovrebbero superare la falcidie cui sono assoggettati: i superstiti potrebbero non essere che i grandi soggetti privati, i quali godendo di altissime protezioni, si dispongono ad ingoiare il pubblico. Non c’è dubbio possibile a chi guardi le cose con onestà intellettuale sul fatto che si parli di “integrazione” e in realtà si intenda un’altra cosa: la pura e semplice cessione di un ospedale pubblico ad un Ente di diritto privato. La bozza di progetto, maneggiata da pochi addetti ai lavori tra gennaio e febbraio ed ora momentaneamente scomparsa dalla circolazione, scandiva in un crono programma abbastanza dettagliato i tempi e i ‘pezzi’ del passaggio dal pubblico al privato. La bozza di PSR ne ripropone la sostanza: <<prevista l’implementazione del modello organizzativo di tipo “Hub & Spoke”, nel quale la Fondazione di Ricerca e Cura “Giovanni Paolo II”, gioca un ruolo fondamentale, integrata nella rete regionale cardiologica e dell’emergenza cardiovascolare. Uno degli obiettivi del Piano relativamente alla Fondazione è rappresentato dall’avvio della reale “integrazione” della struttura con il Cardarelli. La Regione intende avviare una sperimentazione ex.art. 9 bis e smi  del D. Leg.vo 502 del 1992, finalizzata a realizzare un modello di gestione innovativo tra pubblico e privato,ecc. ecc>>  Il progetto dovrà prevedere lo sviluppo di fasi <<nelle quali saranno gradualmente spostate all’interno della Fondazione attività oggi erogate da unità operative presenti presso il Cardarelli>>. Ciò dovrebbe << consentire di superare le attuali problematiche legate al ruolo della Fondazione nell’ottica di una migliore e più economica utilizzazione delle risorse umane e tecnologiche di tutto il sistema>>

L’ultima trovata: la questione dell’inagibilità

E se un ospedale regionale è un boccone troppo grande per essere ingoiato tutto in una volta, si prova a spezzettarlo, a rateizzare l’ingozzamento in singoli bocconi. Un po’ per volta….Ci sarà un comitato che provvederà a che pezzo dopo pezzo scivoli tutto nelle fauci spalancate a riceverlo. E per rendere improcrastinabile ed irreversibile l’operazione, nasce opportunamente proprio ora, la storia dell’evacuazione necessaria….la storia di strutture fatiscenti e mal costruite o, piuttosto, costruite in tempi in cui la zona aveva altro indice sismico e rivelatesi,  ai successivi esami, inaffidabili sotto il profilo della sicurezza statica e sismica. Certo la struttura risale a più di trenta anni fa. Dalla stampa (PrimoNumero 16.03.2012 [3]), non da un soggetto istituzionale che si assuma pubblicamente la responsabilità delle proprie affermazioni, viene fuori la vicenda di indagini condotte più volte: entro il 1998/99, poi dopo il terremoto del 2002, poi ancora dopo il terremoto che ha distrutto L’Aquila nel 2009.  Da tutte  emerge una condizione di grave fragilità dell’edificio e di pericolo incombente. Ma i soggetti istituzionali non hanno mai detto nulla ed anche ora  continuano a tacere. Certo dietro ogni articolo di stampa c’è qualcuno di loro, ed anche questo è motivo di fastidio e diffidenza del cittadino verso la stampa locale. E intanto la Fondazione può disporre di strutture nuove, belle, ben costruite, adattissime ad accogliere gran parte dei servizi e delle unità operative del Cardarelli. Che pensare? C’è stato un piano, si è attuata una vera e propria strategia, che si è dipanata negli anni, ha conosciuto le sue svolte e i suoi adattamenti, e tutti i rappresentanti politici ne erano consapevoli. Possiamo fidarci di loro? Io non credo. Ora siamo alla battaglia conclusiva. Dobbiamo aver fiducia in noi stessi, nel nostro essere cittadini, nella nostra capacità di parlare ai cittadini. Nell’ultima audizione in IV Commissione il Presidente della Regione ha esplicitato le sue intenzioni, che sarebbero, stando alle notizie di stampa, di procedere rapidamente (entro il 15 aprile, dice) all’approvazione del PSR, e su tale  base 1) realizzare in tempi rapidi  l’integrazione (intendi: fusione) tra la ex Cattolica e il Cardarelli, assegnando nettamente il ruolo guida all’istituzione privata, e costruendo così il polo sanitario adeguato a rispondere ai bisogni del Molise centrale; 2)  sostenere la facoltà di medicina, nonostante l’assoluta inadeguatezza dei fondi erogati dal Miur, quindi presumibilmente con fondi regionali, e di collegarla con tale nuovo polo; 3) completare la fusione tra Larino e Termoli, per costituire il polo sanitario del Basso Molise; 4) dotare l’Alto Molise di un nuovo polo sanitario destinato a sorgere a Monteroduni e a rispondere ai bisogni sanitari sia dell’Isernino sia del Venafrano.

Ora possiamo anche farci quattro risate pensando che il polo sanitario di Monteroduni fa il paio con l’aeroporto di Cantalupo, altra fantasia riferita al futuro remoto del nostro megalomane decisore politico, e può anche darsi che il polo sanitario di Monteroduni resti con l’aeroporto di Cantalupo tra i futuribili, ma in effetti c’è poco da ridere: se non si verificano nell’immediato fatti nuovi, la fusione tra ex Cattolica e il Cardarelli comincerà tra qualche settimana. Perciò io credo che i cittadini debbano scendere in piazza. Il fatto nuovo che deve accadere è la presa di coscienza e la mobilitazione dei cittadini. Perché questa può essere   una battaglia vincente, solo a patto che sia popolare e territoriale.

 

* Presidente dell’associazione “Salviamo la Costituzione”

 

 

 

 

 

 

 

 


[1] Piano Sanitario Regionale. A tal proposito abbiamo deciso di allegare il parag. 5.5 del documento in cui si stabiliscono ruoli e funzioni delle strutture private.

[2] Si tratta di un documento in cui viene esplicitato un vero e proprio crono-programma per lo smantellamento del Cardarelli a favore della Fondazione “Giovanni Paolo II”

[3] articolo di Sabrina Varriano pubblicato il 16/03/2012 su “PrimoNumero”

Una risposta a “Una battaglia vincente (Ma solo a patto che sia popolare e territoriale)”

  1. Sento il dovere di precisare che l’analisi sulla sanità molisana e sulle prospettive di una lotta popolare e territoriale per la salvaguardia e la qualificazione della sanità pubblica sono frutto esclusivamente di una riflessione personale e non coinvolgono altri aderenti all’Associazione.

I commenti sono chiusi.