Dopo che anche a Campobasso i richiedenti asilo fuggiti dalla Libia sono scesi in piazza, l’associazione Primo Marzo è intervenuta sulla questione con due lettere aperte, una ai candidati alle regionali, l’altra al Prefetto. Di seguito qualche spunto di riflessione sul tema.
Nella prima lettera (lettera ai candidati) si sollecitano i politici regionali a pensare all’immigrazione come ad un’opportunità per i paesi del Molise in via di spopolamento, citando il caso di Riace, e ad intervenire con una legge regionale specifica per l’integrazione sociale e lavorativa dei cittadini migranti. Nella seconda (lettera al prefetto) si chiede al Prefetto di Campobasso, incaricato dal Governo di gestire la cosiddetta “fase di uscita” dei richiedenti asilo dalle strutture di accoglienza in cui sono stati parcheggiati per due anni, di prevedere quei reali percorsi di inserimento che finora non sono stati intrapresi.
Abbiamo anche noi denunciato da tempo l’insensatezza della situazione dei richiedenti asilo. Tenerli in un limbo giuridico che non consentiva loro di lavorare, studiare, rendersi autonomi, nella lunga e ingiustificata attesa dell’arrivo di un documento, spesso in luoghi lontani dai centri abitati, senza la possibilità nemmeno di socializzare con gli italiani, il tutto con una gestione emergenziale poco trasparente, è stata una scelta politica precisa, assolutamente poco lungimirante, da parte del governo allora Berlusconi. La scelta di un’accoglienza limitata e limitante, che non lasciasse a queste persone nessuna prospettiva di un futuro migliore nel nostro paese, in assoluta violazione dei diritti dei richiedenti asilo riconosciuti internazionalmente. Il governo dei tecnici non ha fatto altro che tamponare senza proporre soluzioni e delegando tutto ai prefetti.
Hanno ragione quindi all’associazione Primo Marzo a dire che “ciò che è mancato [ai migranti] finora è stata l’opportunità di poterci provare, ingabbiati dalla mancanza di un permesso di soggiorno, abbandonati nell’inadeguatezza dei progetti messi in campo silenziati dalla retorica dell’accoglienza che li vorrebbe grati per un pasto ed un letto dopo che per oltre un anno e mezzo, proprio per loro, i Comuni o gli enti gestori hanno ricevuto 46 Euro al giorno per ogni persona ospitata (solo in Molise sono stati spesi oltre 3 milioni di Euro)”. Hanno ragione a chiedere una svolta nelle politiche di accoglienza: interventi seri e a lungo termine dei quali gli enti locali abbiano il coraggio di farsi carico.
Ci sentiamo però di fare qualche riflessione ulteriore su una questione così complessa e delicata.
Considerare i migranti una risorsa demografica, e di conseguenza in qualche modo economica, è un ragionamento scivoloso: infatti, si rischia di dimenticare che una dignitosa accoglienza, non assistenzialista e caritatevole, ma costruttrice di reali opportunità per il futuro, va considerata un sacrosanto diritto di queste persone, al di là degli effetti più o meno benefici che può avere sul territorio. Perché – che sia riconosciuto ufficialmente o meno il loro status di rifugiati – si tratta di persone in fuga da miseria e guerre, di cui peraltro i paesi occidentali, con le loro politiche neocoloniali e imperialiste, sono in gran parte responsabili.
Progetti come quelli di Riace, in cui i migranti e i richiedenti asilo siano accolti in paesi svuotati dallo spopolamento, coinvolti nel recupero del patrimonio edilizio e delle piccole attività artigianali locali, sono interessanti e ci piacciono non semplicemente perché il “ripopolamento” consente di non chiudere l’ufficio postale, o la scuola, o qualche negozio; ma piuttosto perché permettono a comunità altrimenti destinate all’estinzione di rivivere attraverso nuovi rapporti tra le persone, autoctone o migranti che siano, di sfuggire all’isolamento, di trasformarsi in un modello di accoglienza reale e convivenza positiva. E’ l’arricchimento umano, culturale e sociale che ci deve interessare, al di là di quello economico.
Altrimenti, se si inizia a guardare a queste persone, alla ricerca disperata di opportunità di lavoro, come ad una risorsa economica, questa logica porta facilmente a qualche scivolone. L’associazione Primo Marzo parla del fatto che si sarebbero potute costruire, per i richiedenti asilo, “possibilità di formazione professionale”, ovvero “stages anche gratuiti nelle aziende, i comuni o le associazioni ospitanti che magari li avessero utilizzati in lavori utili per la comunità”. Questa non ci sembra una buona proposta: noi siamo contro il lavoro gratuito di tutti/e, contro quella logica per cui si mascherano da “occasioni per formarsi” ore e ore di lavoro non retribuito. Se i migranti sono disperati e pronti a tutto pur di ottenere un posto di lavoro, questo non autorizza a sfruttare il loro lavoro con la scusa della formazione e vaghissime prospettive di un futuro impiego pagato.